“Chi ostacola il cambiamento energetico sta rubando il nostro futuro. Gli adulti non fanno nulla ma non ci stiamo con questa economia e vogliamo farci sentire”, dice Giulia, terzo anno al liceo scientifico Manara. Intorno a lei in piazza Venezia a Roma una “folla oceanica” di giovani manifestanti che brandiscono cartelli che invocano azioni concrete e immediate per salvare il pianeta, il loro futuro, dalla catastrofe annunciata del cambiamento climatico. Studenti delle elementari, delle medie, licei e università, spesso accompagnati da insegnanti, genitori, nonni. Come un signore che impugna un cartello con su scritto: “Scusateci”.
A Roma almeno in 30 mila, secondo gli organizzatori, hanno partecipato a Strike for future, raccogliendo l’invito di Greta Thunberg a manifestare come lei ogni venerdì – e in simultanea oggi in tutte le città del mondo – per la giustizia climatica: per chiedere azioni immediate, concrete contro il riscaldamento del pianeta innescato da un sistema economico insostenibile e iniquo.
“Non hai capito, sono stati loro a voler venire”. Loro sono quattro ragazzi, tre maschi e una donna, tra i 10 e gli 11 anni. I genitori non hanno potuto far altro che assecondarli quando hanno chiesto di essere accompagnati in piazza. Se gli si chiedono le motivazioni, replicano in coro: “Amiamo la natura e pensiamo sia giusto essere qui oggi”. Un amore che mettono in pratica nella vita quotidiana. “Non si va a mare senza una busta per raccogliere le cicche lasciate sulla spiaggia”, spiega una mamma.
Intanto, dal podio il geologo Mario Tozzi chiede scusa a nome degli adulti: “Non hanno mai manifestato per il tema più urgente. Non esiste economia se non c’è biosfera vivibile”. Antonello Pasini, fisico del clima, porta il saluto del Cnr e poi, sceso dal palco, ai giornalisti: “È un dovere morale per noi scienziati informare sulla gravità della situazione e sulla disparità che il riscaldamento globale è destinato ad aggravare nel mondo. A pagare le conseguenze del cambiamento climatico in atto saranno soprattutto i giovani, chi nasce oggi e chi vive nelle aree più povere del pianeta, come l’Africa, particolarmente esposto ai cambiamenti ambientali”.
Sul palco si va avanti ricordando dati e numeri sul riscaldamento globale, scenari che prefigurano un futuro climatico desolante, con l’accentuarsi di fenomeni estremi, siccità e alluvioni, innalzamento del livello del mare, aumento dei prezzi alimentari, incremento delle morti per inquinamento, perdita di biodiversità.
C’è di che essere a dir poco inquieti a nascere oggi. Da qui la determinazione di Greta, che qualcuno vorrebbe candidata al premio Nobel, a non mollare e continuare imperterrita, implacabile, a mettere la attuale classe politica, di ogni ordine e grado, di fronte alle proprie responsabilità: la scienza ha fatto la sua parte, fornendo dati oggettivi sulla responsabilità delle attività umane nello sconvolgimento climatico e ambientale. Ora tocca alla politica agire subito, fare tutto il possibile per invertire la rotta e mitigare le conseguenze di scelte passate e anche dell’inazione delle precedenti generazioni.
“Non è vero che le cose non cambiano”, urla al microfono una ragazza in chiusura della manifestazione a piazza Venezia. “Protesteremo ogni settimana, fino a quando non ci ascolteranno. Il movimento non finisce qui”. L’appuntamento a Roma è per il prossimo venerdì alle ore 15 a piazza del Popolo. Lo slogan: “Cosa vogliamo? Salvare il pianeta. Quando lo vogliamo? Ora”.
Immagini e interviste diGiancarlo Cinini e Rosita Rijtano.
il riscaldamento globale è un problema gravissimo, non dato solo dall’effetto serra. Per limitare i cambiamenti climatici occorrerebbe una legge che io chiamerei “del futuro possibile” già applicata in Germania, In Polonia, In Russia e Ungheria dal 1998: essa recita con testuali parole che la vita di ogni essere vivente non può essere ristretta o rovinata a causa dell’utilizzo di idrocarburi inquinanti, fertilizzanti chimici o calore provocato “ad altissime temperature” da macchine di casa come riscaldamenti o di lavoro come i macchinari delle fabbriche troppo grandi per l’epoca in cui viviamo.