Un numero sempre crescente di persone usa Internet alla ricerca di informazioni mediche: circa 12 milioni gli italiani lo fanno regolarmente, oltre il 40% degli adulti. Se fino a pochi anni fa esisteva solo il medico in carne ossa ora c’è anche quello digitale, il famigerato Dr. Google. Per capire come le ricerche sul web siano rappresentative delle reali necessità delle persone che vivono con una specifica malattia o dei loro caregiver nasce l’infodemiologia, lo studio del flusso di informazioni digitali alla luce dell’epidemiologia medica. Dell’infodemiologia della sclerosi multipla ha parlato Francesco Brigo, neurologo dell’Università di Verona, al corso “E-health e sclerosi multipla”, organizzato con il contributo non condizionato di Teva, da Luigi Lavorgna della Clinica Neurologica dell’Università Vanvitelli di Napoli. Lo abbiamo intervistato.
Dottor Brigo, quello che avviene sul web riflette effettivamente la realtà in termini di diffusione della sclerosi multipla?
Poter rispondere a questa domanda è fondamentale per capire quale valore può avere l’infodemiologia per migliorare la qualità di vita dei pazienti. Se infatti possiamo essere sicuri che le ricerche o le domande poste nell’ambiente virtuale sono lo specchio delle reali esigenze delle persone che hanno a che fare con la sclerosi multipla possiamo usare questi dati per costruire delle risposte o dei programmi di assistenza. Dagli studi condotti sia in Italia sia in Francia, per esempio, sappiamo che c’è una correlazione fra numero di ricerche e prevalenza della malattia a livello spaziale: nelle zone dove è maggiore la concentrazione di pazienti si effettuano più ricerche. Ma lo studio di Internet ci permette di capire che ci sono anche altri fattori che influenzano le ricerche sulla SM: normalizzando i risultati infatti vediamo che il numero di query per questa malattia è superiore a quello di altre patologie neurologiche che sono in realtà più diffuse.
A che cosa si deve questo interesse per la sclerosi multipla?
Prima di tutto alla popolazione colpita. La SM ha un esordio concentrato per la maggior parte fra i 20 e i 40 anni, persone giovani che hanno maggiore dimestichezza con Internet. In secondo luogo questa malattia ha una eco mediatica piuttosto importante, frutto delle campagne condotte da parte delle associazioni pazienti; in terzo luogo si ha la percezione che rispetto ad altre condizioni, la SM sia intrinsecamente più grave e drammatica. Ma forse il fattore che più di ogni altro risulta determinante è il cosiddetto “effetto Robin Williams”, dizione con cui si indica il picco di ricerche sulla malattia di Parkinson registrato il giorno dopo la diffusione della notizia che il popolare attore ne soffriva. Uno studio condotto dal mio gruppo di ricerca dimostra che nel caso della SM i picchi di ricerca online sono determinati da questo tipo di effetto – il coinvolgimento di persone famose – piuttosto che da notizie scientifiche riguardanti nuove terapie.
I personaggi famosi, i cosiddetti testimonial, vengono usati soprattutto in televisione. Che rapporto c’è quindi fra i diversi media?
La televisione rappresenta ancora una enorme cassa di risonanza e influenza il restante sistema dei media. Lo studio delle dinamiche delle informazioni dimostra che i media non solo isole; al contrario sono fra loro collegati, direi interdipendenti. Uno studio sul numero di visualizzazioni di articoli dedicati alla SM condotto in Gran Bretagna mette in evidenza come uno dei giorni di picco sia stato il 7 gennaio 2017, il giorno in cui l’attore scozzese Richard Madden ha partecipato a un show televisivo come ospite a sorpresa per una paziente con SM. L’infodemiologia ci dice che l’uso dei testimonial, meglio se coinvolti in prima persone, funziona. Ma serve anche a migliorare le politiche o la fruibilità dei contenuti.
In che senso?
Il gruppo di Marcello Moccia ha condotto un’analisi sui siti di informazione dedicati alla SM e abbiamo dimostrato che nella maggior parte il livello di leggibilità è scarso: in altre parole le informazioni non sono accessibili a chi non ha un titolo di istruzione superiore. Il linguaggio va semplificato, senza abdicare al rigore scientifico, e reso comprensibile a tutti. Soprattutto perché con il web la comunicazione è orizzontale e tutti, in primis i pazienti, possono essere coinvolti in maniera positiva. Nella SM l’interazione digitale è particolarmente rappresentativa della voce dei pazienti, come dimostrano diverse esperienze a partire da quella italiana di smsocialnetwork – social network realizzato dalla Clinica Neurologica dell’Università Vanvitelli di Napoli.