Sembra abbastanza banale, e forse lo è davvero, ma pare ormai chiaro ai più che l’attuale modello di sviluppo risulti essere insostenibile non solo sul piano ambientale, ma anche su quello economico e sociale. In effetti, la dimensione della sostenibilità con la quale ci stiamo confrontando in quest’epoca post COVID-19 ha preso consapevolezza del fatto che è necessario avere una visione integrata delle diverse dimensioni dello sviluppo. Parlare solo di economia, solo di ambiente, solo di salute è limitante e, troppo spesso, inconcludente.
Pare altrettanto chiaro che un singolo Paese non ha la possibilità di incidere in modo significativo sulla questione a livello globale, serve l’impegno di tutti (perlomeno della maggioranza) affinché, senza voler scomodare teorie di dinamica comportamentale, sia più conveniente per la collettività collaborare piuttosto che per alcuni agire in piena autonomia pur di trarne un vantaggio immediato.
Lo stesso discorso vale anche le singole componenti della società che compongono quegli stessi Paesi, dalle imprese al settore pubblico, dalla società civile alle istituzioni filantropiche, dalle università e centri di ricerca agli operatori dell’informazione e della cultura.
La sfida è così imponente e importante che, già qualche anno fa, e precisamente il 25 settembre 2015, le Nazioni Unite hanno approvato l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile con i relativi 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile articolati in 169 Target da raggiungere entro il 2030.
Sviluppo sostenibile: la programmazione europea
Un libro dei sogni? Forse. Di certo rimarrà tale se, a questo elenco di obiettivi strategici, non si legano in modo sinergico altre iniziative in grado di rendere lo sviluppo sostenibile qualcosa di urgentemente concreto. Non è un caso allora che l’Agenda 2030 sia divenuta elemento imprescindibile nella strategia che guida il prossimo periodo di programmazione europeo, in particolare del nuovo programma quadro di ricerca e innovazione della Commissione: Horizon Europe.
Per chiudere il cerchio di questo ragionamento, però, sarebbe stato utile avere, ma non c’è mai stata, un’analisi di se, come e, nel caso, in quale modo i diversi goal dell’Agenda 2030 fossero in relazione con i progetti e le attività scientifiche e di innovazione finanziati dalla stessa Europa negli anni passati, in particolare negli ultimi due cicli di programmazione. Perché capire il passato aiuta sicuramente a programmare il futuro. Perlomeno a non prendere grosse cantonate.
Lavoro non banale. Tutt’altro. Motivo per cui, forse, non è mai stato fatto. Almeno fino a quando una piccola ma vivacissima società internazionale, la SIRIS Academic, è riuscita a sviluppare una metodologia innovativa per classificare i testi di tutti i progetti di ricerca e innovazione finanziati dalla Commissione europea sia nel Settimo programma quadro (7PQ) che in Horizon 2020 (H2020), andando poi a verificarne l’attinenza con i goal dell’Agenda 2030.
Paesi a confronto
I risultati? Decisamente interessanti. Il primo, degno di nota, ci racconta come il numero di progetti collegati agli obiettivi di sostenibilità sia cresciuto passando, da un ciclo di programmazione all’altro, dal 29% al 35% lasciando pressoché immune da tale prospettiva circa il 65% delle rimanenti attività di ricerca.
Scendendo un po’ di più nel dettaglio, emerge come alcuni obiettivi abbiano ricevuto una maggiore attenzione negli ultimi anni, in particolare quelli che affrontano tematiche legate alle fasce più vulnerabili della società (come l’Obiettivo 1: porre fine alla povertà in tutte le sue forme e l’Obiettivo 2: fame zero) e quelli che affrontano le minacce ambientali globali (Obiettivo 13: adottare misure urgenti per combattere il cambiamento climatico e Obiettivo 12: garantire modelli di produzione e consumo sostenibili). È cresciuto anche l’Obiettivo 5: raggiungere l’uguaglianza di genere, tema che in realtà è fortunatamente molto impattante anche nei prossimi orientamenti europei.
Società della conoscenza, perché l’Europa è in ritardo
È altrettanto interessante osservare come, nel passaggio dal 7PQ ad H2020 alcune parole chiave nei progetti di ricerca abbiano ricevuto una minore o una maggiore attenzione. Eclatante è il caso del trasferimento di conoscenza – in forte riduzione – e, all’opposto positivo, quello dell’efficientamento energetico e delle energie rinnovabili.
Tale rendenza si è concretizzata anche nel nostro Paese che, nel suo complesso, sugli oltre undicimila progetti finanziati nell’arco temporale considerato, ne ha realizzati circa la metà con finalità riconducibili agli obiettivi per uno sviluppo sostenibile con particolare focalizzazione all’Energia, all’Innovazione e alle Infrastrutture e al Clima.
Dove stiamo andando?
Interessante è anche la possibilità che offre il tool sviluppato da SIRIS (che consente numerose altre elaborazioni in real time anche molto più puntuali di quelle che sto riportando in questo articolo) di comparare le tendenze emerse in Italia con altri Paesi dell’UE, clusterizzando i risultati e scoprendo, ad esempio, che le nazioni a noi più vicine in termini di modello di specializzazione sono il Belgio, la Polonia, l’Austria e la Germania. A dimostrazione, se mai ve ne fosse ancora bisogno, che un conto sono le attività di ricerca, un conto le relative applicazioni e l’impatto che esse hanno sulla società, sull’economia e sul benessere di una nazione.
Last but not least, è possibile smanettare osservando come si sono evoluti gli interessi di ricerca e di innovazione nell’ambito di uno stesso goal, per tutti i goal. La rappresentazione, che tanto ricorda la stratificazione delle rocce sedimentarie, rende esplicito un palese dinamismo degli argomenti di ricerca che, di sicuro, rappresentano dei validi strumenti non solo di analisi, ma anche di pianificazione nell’ottica del prossimo Horizon Europe che riguarderà il periodo 2021-2027.
La corsa alla specializzazione intelligente
In conclusione, possiamo dire che l’analisi di questi dati è preziosa, ed è quanto mai importante per la definizione analitica del perimetro di priorità che il nostro Paese in particolare si vuole dare su questi temi, così come ogni regione italiana. Nell’ambito della sua Politica di coesione, infatti, la Commissione Europea ha indicato i fondi strutturali come strumenti alla base dello sviluppo regionale e nazionale ed ha posto, quale condizione per l’accesso a tali finanziamenti, l’adozione di una strategia di ricerca e innovazione basata sulla logica della cosiddetta “specializzazione intelligente” (S3) con una logica di intervento verticale e non neutrale, contrapponendosi dunque al classico approccio orizzontale e neutrale tipico di certe programmazioni regionali che, pur di non scompaginare equilibri consolidati tra gli operatori economici, sociali e di ricerca presenti su un determinato territorio, optano per una gestione di tali fondi asettica, poco impattante e priva di prospettiva nella sempre più dinamica relazione tra ricerca, impresa e sviluppo sostenibile.
«Qui, vedi» diceva Regina Rossa ad Alice, «ci vuole tutta la velocità di cui si dispone se si vuole rimanere in un posto. Se si vuole andare da qualche parte, si deve correre almeno due volte più veloce di così!».
E se era vero per Carroll nel 1871, lo è ancora di più per l’Italia del 2020.