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Tanta polvere, poco ghiaccio

di
Daniela Cipolloni

Non è una palla di ghiaccio sporco. La cometa Temple-1, contro cui si la sonda della Nasa Deep Impact il 4 luglio scorso aveva scagliato un proiettile grande quanto una lavatrice, si è rivelata più simile a una palla di polvere fine che a un ammasso di ghiaccio misto a roccia come pensato finora. A distanza di due mesi dalla fase conclusiva della missione spaziale statunitense che era partita nel gennaio scorso, arrivano su Science le osservazioni più rilevanti sulla cometa bombardata. I risultati, a cui la rivista americana dedica tre articoli, sono stati presentati anche nel corso del convegno dell’American Astronomical Society a Cambridge (UK).Mai come questa volta, gli scienziati sono andati vicini al nucleo di una cometa, pur non essendo riusciti a raggiungerlo. Sparandovi contro una sonda di quasi 400 chili di peso, hanno provocato un cratere profondo circa 20 metri, lungo e largo più o meno come una piscina. Per scoprire che gran parte del materiale sollevato dall’esplosione è costituito da particelle fini e leggere come polvere. Che la cometa è composta da concentrazioni relativamente alte di composti organici. Che la superficie più esterna della cometa ha una composizione diversa rispetto ai materiali della sua parte più interna. Insomma, che la natura delle comete, o almeno di Temple-1, sarebbe tutto sommato più simile a quella degli asteroidi di quanto si pensasse.I dati delle osservazioni effettuate sono tantissimi. Al momento dell’impatto, infatti, la sonda Deep Impact, che distava 37 mila chilometri dalla Temple-1, non era la sola a monitorare l’evento. Un po’ più distante, a circa 60 milioni di chilometri, si trovava la sonda dell’Esa Rosetta, in viaggio nello spazio e diretta anch’essa verso una cometa, la Churyumov-Gerasimenko, che però raggiungerà solo nel 2014. Da Terra, inoltre, almeno 70 diversi telescopi sparsi nei principali osservatori del mondo, puntavano gli occhi alla collisione.“Subito dopo il bombardamento, Rosetta ha registrato un aumento dello splendore della nube di gas che circonda il nucleo cinque volte superiore al normale”, afferma Cesare Barbieri, ordinario di astronomia all’Università di Padova, autore di un articolo di Science come responsabile scientifico per le osservazioni di Temple-1 compiute dalla camera fotografica Osiris di Rosetta. “La quantità di polvere e gas sprigionato nell’impatto è stata sorprendente, molto maggiore di quanto ci si aspettasse. Al contrario, il vapore acqueo è stato scarso: la componente solida cometaria si è rivelata la più abbondante”.Per Rosetta è stata anche l’occasione per sperimentare con successo la sofisticata strumentazione che porta a bordo, che le servirà per studiare una cometa ben più lontana di Temple-1. “C’è un grande interesse verso le comete perché, anche se sono corpi celesti minori, probabilmente mantengono inalterata la composizione chimica, la percentuale di isotopi e la forma delle molecole dei primissimi istanti del nostro Sistema Solare”, aggiunge Barbieri. Comete come scrigni, quindi, che conservano tracce primordiali andate perdute nei pianeti e in altri corpi spaziali.Ma le incognite sono ancora tante. E, nonostante le critiche e le obiezioni mosse da qualcuno contro la missione della Nasa, perché poco utile e troppo invasiva, Deep Impact ha contribuito a far luce su qualche interrogativo. Se non altro, come aggiunge Barbieri, “ha avuto il grande merito di essere una missione lampo, ben concepita e realizzata in appena 9 mesi, dal lancio all’analisi dei risultati. Se anche quello che si scopre non è tutto quello che si sperava di scoprire, fa parte della ricerca. E queste informazioni serviranno per le missioni future”.

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