Vi siete mai chiesti dove si trovi, biologicamente parlando, un tatuaggio? Non parliamo ovviamente dei posti, più o meno nascosti, sede di scritte, disegni o simboli, ma di dove si trovino i pigmenti che nell’insieme ci restituiscono l’immagine sulla pelle. Si trovano nelle cellule, nella pelle, più specificatamente all’interno del derma. A lungo i ricercatori hanno sostenuto che i pigmenti fossero custoditi all’interno di cellule note come fibroblasti, ma negli ultimi anni alcune ricerche hanno invece identificato i macrofagi, cellule del sistema immunitario, come i custodi di questi colori (che alcuni sostengono spingersi anche oltre). Custodi fedeli, così tanto che quando muoiono la loro eredità – questi pigmenti – viene trasmessa ad altri macrofagi vicini. Così racconta uno studio apparso sulle pagine del Journal of Experimental Medicine, secondo cui quanto scoperto potrebbe aiutare a migliorare anche le tecniche di rimozione dei tatuaggi.
La scoperta di questa eredità dei pigmenti è arrivata dalle osservazioni compiute su alcuni modelli animali. I ricercatori hanno eseguito dei tatuaggi sulla coda di topi e successivamente hanno eliminato i macrofagi del derma (un passaggio reso possibile dall’utilizzo di un particolare modello animale geneticamente modificato). Osservando cosa accadeva nelle settimane successive i ricercatori si sono accorti che il tatuaggio non cambiava d’aspetto, e che il pigmento perso dai macrofagi morenti veniva ricaptato da nuovi macrofagi (sviluppatesi a partire da cellule note come monociti). Di fatto veniva ereditato, impedendo al pigmento di diffondersi e permettendo al tatuaggio di mantenersi nel tempo.
Ma non solo: trasferendo un pezzo di pelle tatuata a un altro animale, il pigmento veniva ereditato sopratutto dai macrofagi del ricevente (l’idea è che quando un macrofago muore i vicini subentrino nel ruolo). Finora, spiegano i ricercatori, l’ipotesi principale era che le cellule ricche di pigmenti vivessero per sempre, custodendo così l’integrità del tatuaggio, ma quanto osservato racconta in realtà di quando più mobile sia, a livello biologico, la permanenza del tatuaggio. E getta luce anche sul ruolo che i macrofagi possano avere nel mantenere un tatuaggio, più che eliminarlo come farebbero con un patogeno.
Secondo i ricercatori quanto osservato permetterebbe di migliorare anche le tecniche per la rimozione dei tatuaggi. Ad oggi le più comuni utilizzano il laser per uccidere le cellule della pelle con i pigmenti e frammentarli e indirizzare così questi ultimi verso il sistema linfatico per lo smaltimento. Ma non è sempre facile eliminare i tatuaggi, alcuni rimangono più a lungo di altri, e uno dei motivi potrebbe essere proprio la ricaptazione da parte di cellule vicine. L’idea del team francese è di specializzare la tecnica con l’ablazione transitoria dei macrofagi, così da diminuire le possibilità di ricaptazione del pigmento e facilitarne la rimozione.
Verrebbe forse da chiedersi a margine se, pur avendo rispettato tutte le direttive in termini di animal care come dichiarato nel paper, sperimentazioni su come rimuovere un tatuaggio possano considerarsi una priorità nella ricerca.
Riferimenti: Journal of Experimental Medicine