È la seconda sentenza di questo genere in Italia. Il Tribunale di Ivrea ha riconosciuto l’esistenza di una correlazione tra utilizzo del telefono cellulare e insorgenza di cancro per un uomo piemontese, dipendente Telecom, condannando l’Inail al pagamento di una rendita perpetua. Il caso precedente, relativo a un contenzioso avviato per lo stesso motivo da Innocente Marcolini, dirigente d’azienda bresciano, si era concluso nel 2014 in modo analogo, con la condanna dell’Inail. Tuttavia, è bene ricordare – come già fatto in almeno altri due casi, questo e questo – che la scienza non si fa nelle aule di tribunali, ma in laboratorio: in proposito, per quanto gli effetti sulla salute delle radiazioni emesse dai telefoni cellulari siano stati estensivamente analizzati dalla comunità scientifica negli ultimi decenni, i risultati degli studi si sono rivelati talvolta contrastanti, il che non ha ancora permesso di tirare delle conclusioni definitive in merito.
Facciamo un passo indietro. In generale, lo spettro elettromagnetico si divide in radiazioni ionizzanti e non ionizzanti. Le radiofrequenze (ossia radiazioni con frequenze nell’intervallo compreso tra 30 kilohertza e 300 gigahertz) emesse dai cellulari sono radiazioni non ionizzanti. L’effetto cancerogeno dell’esposizione a radiazioni ionizzanti, tra cui per esempio quelle dei raggi X, è ormai noto da tempo alla comunità scientifica. Diverso è invece il discorso relativo alle radiazioni non ionizzanti (emesse, per l’appunto, da dispositivi come i telefoni cellulari, i radar, i forni a microonde, etc.), per cui, dice il National Cancer Institute statunitense, non esistono evidenze solide di una correlazione con l’aumento di rischio di cancro; l’unico effetto biologico riconosciuto, sempre secondo la stessa fonte, sarebbe il surriscaldamento dei tessuti a causa delle radiofrequenze. In particolare, accostare il cellulare alla testa provoca un riscaldamento locale (che comunque non avrebbe effetti misurabili sulla temperatura del corpo) le cui conseguenze sulla salute, però, non sono chiare.
E ancora: un’altra ipotesi prevede che l’energia delle radiofrequenze abbia conseguenze sul metabolismo del glucosio, anche se due studi condotti sul tema sono giunti a conclusioni diametralmente opposte: il primo ha mostrato un aumento del metabolismo del glucosio nella regione del cervello vicina all’orecchio su cui solitamente si appoggia il cellulare. Il secondo ha mostrato, nella stessa regione, una diminuzione del metabolismo del glucosio: ancora una volta, i risultati sono inconsistenti e non permettono di trarre alcuna conclusione.
Torniamo a parlare di cancro. Come accennavamo sopra, alcune delle evidenze oggi disponibili sembrano mostrare che le radiofrequenze non causano danni al dna che, a loro volta, possono portare all’insorgenza di cancro. Anche se, ribadiamo, lo scenario è spesso nebuloso: il National Institute of Environmental Health Sciences (Niehs), parte dei National Institutes of Health (Nih) statunitensi, sta conducendo uno studio su vasta scala, sui topi, per valutare gli effetti dell’esposizione alle radiofrequenze. In particolare, si tratta di uno studio epidemiologico incentrato sul rischio di tumori cerebrali maligni, come il glioma, e benigni, come neuromi e meningiomi. I risultati preliminari del lavoro “non hanno mostrato le prove di una relazione tra uso di telefoni cellulari e cancro. Tuttavia, gli autori hanno descritto alcune correlazioni [non però rapporti di causa-effetto, nda] statisticamente significative per determinati sottogruppi di persone”.
Ancora: uno studio pubblicato lo scorso anno sulla rivista Cancer Epidemiology, relativo a un gruppo di circa 30mila pazienti australiani affetti da tumore cerebrale nell’arco del trentennio 1982-2012, ha mostrato che all’aumento della diffusione dei telefoni cellulari non è correlato un aumento proporzionale delle diagnosi di tumori al cervello, che sono rimaste stabili delle donne e aumentate dello 0,05% negli uomini. Anche in questo caso, però, bisogna fare dei distinguo: “Si tratta”, scrivono gli stessi autori, “di un’analisi dei trend ambientali: non ci sono dati individuali che correlino la frequenza di utilizzo di un cellulare a un indicatore di salute”.
Cosa impone, in uno scenario incerto e delicato come quello appena descritto, il principio di massima precauzione? Domanda cui non è certamente facile trovare una risposta: nel dubbio, gli esperti della International Agency for Research of Cancer (Iarc) della World Health Organization hanno ufficialmente classificato le radiofrequenze emesse dai cellulari nel gruppo 2B, quello in cui sono annoverati sostanze e fattori considerati “potenzialmente cancerogeni” (ma non “probabilmente cancerogeni”, come quelli del gruppo 2A, né “certamente cancerogeni”, come quelli del gruppo 1, tra cui per esempio il fumo di sigaretta)? In particolare, la decisione dello Iarc, risalente al 2011, era basata sui risultati di altri due grandi studi. Il primo è il cosiddetto studio Hardell, un lavoro svedese i cui autori hanno mostrato una correlazione tra uso dei telefoni cellulari e insorgenza di astrocitoma e neuroma acustico. L’altro è lo studio Interphone, che ha evidenziato un aumento del rischio di sviluppare il glioma per chi aveva trascorso al cellulare più di mezz’ora al giorno negli ultimi dieci anni. Entrambi i risultati, comunque, sottolineano gli esperti di Cancer Research Uk, vanno presi con le pinze: “Si tratta di studi con evidenti limitazioni. In entrambi, i ricercatori hanno chiesto a persone con e senza cancro di ricordare quando e quanto hanno usato il telefono cellulare: una valutazione siffatta, per forza di cose, non è molto precisa, tanto più che chi soffre di cancro al cervello può avere anche problemi di memoria”. In ogni caso, proprio in virtù del succitato principio di massima precauzione, la Iarc ha inserito (per ora) le radiofrequenze tra le sostanze possibilmente correlate all’insorgenza di cancro. Come dire: ne sappiamo ancora troppo poco per sancirne definitivamente la sicurezza.
C’è però anche chi pensa che, al contrario, la cautela non solo sia obbligatoria, ma sia insufficiente. “La Iarc non ha potuto inserire le radiofrequenze nel gruppo 2A”, ci spiega Fiorenzo Marinelli, ricercatore dell’Istituto di Generica Molecolare al Consiglio Nazionale delle Ricerche, “solo per una sorta di ‘cavillo’, nel senso che mancavano i test sugli animali. E recentemente è stata richiesta una revisione della classificazione, inserendo le radiazioni tra i cancerogeni certi. Uno studio che abbiamo condotto nel 2004 ha mostrato che le emissioni di radiofrequenze possono attivare nel breve periodo geni apoptotici, cioè quelli che inducono la morte cellulare, e nel lungo periodo geni di proliferazione cellulare”. Un altro studio, sempre condotto dall’équipe di Marinelli, ha mostrato che le radiofrequenze possono avere effetti sulla cinetica enzimatica, ovvero sul metabolismo cellulare. È per questo che Marinelli suggerisce di “applicare il principio di prevenzione debba essere applicato al massimo grado: il telefono cellulare dovrebbe essere usato solo come una radio di emergenza. In tutti i casi che non sono emergenze, è bene tornare al vecchio telefono fisso”.
Via: Wired.it