Telefonini, accusa con riserva

I risultati degli studi sugli effetti dei campi elettromagnetici sulla salute umana sono destinati a far discutere. Dopo il progetto di ricerca che aveva coinvolto Università di Roma, Cnr e Enea è ora la volta di un progetto finanziato dall’Unione Europea che ha da poco chiuso i lavori dopo circa quattro anni. Se il progetto italiano sembra aver scagionato il telefonino – pur con i distinguo dovuti, legati alla specificità degli effetti studiati e alla necessità di nuove ricerche a conferma di alcune indicazioni emerse -, il nuovo progetto europeo, denominato Reflex, potrebbe generare nuova ansia negli ormai milioni di utilizzatori di cellulari. Tra i risultati presentati vi sarebbero infatti delle evidenze di danneggiamenti subiti dal Dna in seguito all’applicazione di campi elettromagnetici di intensità non elevata, dello stesso ordine di grandezza di quella emessa da un comune cellulare. In realtà, a ben vedere, anche in questo caso i risultati sono tutt’altro che univoci e definitivi. “Anche considerando i dati più eclatanti, quelli sulla rottura del Dna sotto l’azione di campi elettromagnetici generati da una sorgente di telefonia mobile, vi sono comunque indicazioni contrastanti e bisogna andar molto cauti nel trarre delle conclusioni su possibili danni alla salute umana”, sottolinea Ferdinando Bersani, professore di fisica all’Università di Bologna, responsabile di uno dei due gruppi italiani che hanno preso parte al progetto europeo. “Infatti questo tipo di effetto è stato osservato in due laboratori, uno austriaco e uno tedesco, ma non è stato replicato per esempio da un terzo laboratorio in Francia. Anche il nostro gruppo ha iniziato una serie di esperimenti per replicare i risultati presentati, utilizzando lo stesso protocollo, ma finora i risultati sono stati completamente negativi”.Questo dimostra quanto delicato sia il controllo di tutti i parametri biologici e elettromagnetici durante l’esperimento, che rende necessario ripetere l’esposizione in laboratori diversi con metodologie il più possibile uniformi. Proprio questa volontà di standardizzazione è stata alla base del progetto Reflex, la cui particolarità è stata la scelta di studiare esclusivamente la risposta cellulare e sub-cellulare all’azione dei campi elettromagnetici esponendo cellule viventi in vitro. In tal modo si possono andare a studiare direttamente i parametri biologici influenzati dal campo, che restano invece nascosti per esempio negli studi epidemiologici. Il progetto Reflex ha coinvolto 12 laboratori europei (due dei quali appunto italiani) che hanno studiato gli effetti di campi sia a bassa che ad alta frequenza su cellule primarie e altre linee cellulari. “Vi sono stati comunque dei risultati interessanti, come quello di un gruppo finlandese che ha evidenziato una modifica dell’espressione genica e dello stato di fosforilazione delle proteine. O come i risultati trovati dal nostro gruppo che dimostrano per la prima volta la possibilità di differenziare cellule staminali di topo in cellule cardiache sotto l’azione di un campo elettromagnetico a bassa frequenza”, sostiene ancora Bersani. “In ogni caso un risultato ottenuto su cellule in vitro non è immediatamente estensibile al problema protezionistico, implicando cioè un danno certo alla salute degli esseri umani”.”I risultati trovati, pur se non definitivi, danno comunque una indicazione della sensibilità di alcuni sistemi biologici ai campi elettromagnetici esterni”, prosegue Diego Fornasari, ricercatore di Farmacologia all’Università di Milano, appartenente all’altro dei due gruppi italiani inseriti nel progetto europeo. “Sarebbe interessante studiare più in dettaglio alcune indicazioni che suggeriscono una qualche specificità della risposta cellulare, per esempio nei fibroblasti, nei confronti dell’età del donatore o del suo patrimonio genetico”. L’effetto sarebbe stato evidenziato sia a bassa che ad alta frequenza. Ma la genotossicità a bassa frequenza sarebbe stata sorprendentemente riscontrata solo in corrispondenza di campi intermittenti, mentre nessuna alterazione del Dna sarebbe stata evidenziata in risposta a campi continui. Altri tipi di cellule, come i linfociti di donatori adulti, non avrebbero invece mostrato alcuna alterazione.Accanto poi agli effetti riscontrati vi sarebbe una serie di risultati che evidenziano la completa assenza di alterazioni, per esempio sulla sintesi del Dna, sul ciclo cellulare, sulla differenziazione e la proliferazione cellulare e sull’apoptosi. “Il nostro gruppo ha in particolare studiato l’azione di campi elettromagnetici di bassa frequenza, per intenderci quella dell’alimentazione di rete a 50 Hz, sui recettori nicotinici che sono considerati legati allo sviluppo di malattie gravi come l’Alzheimer. I nostri risultati evidenziano in modo piuttosto chiaro l’assenza di qualsiasi alterazione nell’attività di questi recettori sotto l’azione del campo applicato. E questo anche per campi magnetici molto più elevati rispetto a quelli presenti normalmente nell’ambiente che ci circonda” conclude Fornasari. “Ciò non toglie che studiando altre classi di recettori, come quelli del Gaba, o applicando campi di diversa frequenza possano emergere effetti che finora non sono stati rilevati”. Per far questo, come ben si sa, occorrono altri fondi per continuare le ricerche.

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