Prendere i linfociti T del paziente, modificarli per renderli resistenti al virus dell’Hiv, e quindi reinfonderli nel malato. E’ questo l’approccio di terapia genica adottato da un team di ricercatori della University of Pennsylvania, dell’Albert Einstein College of Medicine e del Sangamo BioSciences, con cui gli scienziati sono riusciti a diminuire la carica virale in pazienti che avevano interrotto la terapia antiretrovirale, fino a rendere il virus del tutto irrivelabile in uno di essi. Lo studio è stato pubblicato sul New England Journal of Medicine.
“Questo studio dimostra che possiamo, in modo sicuro ed efficace, ingegnerizzare le cellule T di un paziente con Hiv per simulare una resistenza naturale al virus, infondere e mantenere tali cellule ingegnerizzate nel corpo, e potenzialmente tenere a bada la carica virale senza l’uso di farmaci”, ha spiegato Carl H. June della Penn’s Perelman School of Medicine, tra gli autori dello studio. “Questo rafforza la nostra convinzione che le cellule T modificate potrebbero essere la chiave per eliminare la necessità di terapie antiretrovirali permanenti e potenzialmente portare ad approcci funzionalmente curativi per l’Hiv/Aids“.
In pratica quel che hanno fatto i ricercatori è stato questo: hanno prelevato i linfociti T da 12 pazienti con Hiv, li hanno modificati in modo da mimare la resistenza al virus (ovvero simulando la mutazione naturale protettiva CCR5-delta-32, presente circa nell’1% della popolazione in generale e che impedisce al virus di entrare nelle cellule) e li hanno quindi reinfusi nei malati. Dei 12 pazienti inclusi nello studio la metà dopo l’infusione ha smesso per 12 settimane l’assunzione di farmaci antiretrovirali.
Gli scienziati hanno quindi osservato che le cellule modificate si muovono liberamente nel corpo, e che nel tempo il numero di linfociti T diminuiva sì, ma quelli modificati, nei pazienti che avevano soppresso la terapia, diminuivano meno delle controparti naturali. E ancora: per 4 pazienti su 6 che avevano sospeso il trattamento la carica virale era diminuita, e in uno il virus era addirittura irrivelabile. Questo paziente, come poi scoperto dai ricercatori, era eterozigote per la mutazione CCR5 delta-32.
Questo, insieme al caso dei pazienti di Boston (creduti inizialmente guariti dall’Hiv grazie a un trapianto di midollo, vedi Galielo: Aids, il trapianto di midollo non funziona), mostra quanto sia importante la protezione delle cellule T offerta dalla mancanza della proteina di superficie CCR5. Per questo, un approccio di terapia genica in cui le cellule T sono protette dall’Hiv (come anche nel caso del paziente di Berlino), potrebbe favorire la deplezione del virus, scrivono gli scienziati, che ora intendono ripetere lo studio con più linfociti T modificati su più pazienti.
Ma la lotta all’Hiv passa anche per i metodi di prevenzione, considerando come la terapia antiretrovirale funzioni anche per questo (vedi Galileo: La terapia è prevenzione. Così cambia la lotta all’Aids). Uno studio su Plos One presenta infatti oggi un anello intravaginale in grado di rialsciare sia anticontraccettivi che farmaci antiretrovirali che sarà presto testato all’interno di trial clinici. L’idea è quella di fornire una doppia protezione a lungo termine alle donne, soprattutto a quelle nei paesi in via di sviluppo, per le quali una gravidanza indesiderata può avere grandi ripercussioni sia per la salute che per gli aspetti socioeconomici.
Riferimenti: New England Journal of Medicine Doi: 10.1056/NEJMoa1300662; Plos One: Doi: 10.1371/journal.pone.0088509
Credits immagine: Ice Blade/Flickr