Negli ultimi tempi si fa un gran parlare di microbiota e di come i microrganismi che colonizzano il nostro corpo influenzino la nostra salute. Quel che appare chiaro, tra tanti studi ancora sperimentali, è che uno squilibrio nel microbiota, in cui alcune microrganismi patogeni siano più dominanti di altri, possa far da aprirpista a condizioni patologiche. L’idea dunque diffusa è che riequilibrando il microbiota sia possibile anche contrastare eventuali disagi e malattie. Un principio che, come suggerisce oggi uno studio pubblicato su Nature Medicine, potrebbe funzionare anche contro la vaginosi.
La vaginosi, uno squilibrio batterico
Con il termine vaginosi sci si riferisce generalmente a un’infezione batterica che colpisce la vagina, piuttosto comune nelle donne in età fertile. Si tratta di una condizione per definizione dovuta a uno sbilancio nella popolazione batterica, in cui alcune specie sono più presenti di altre. Non si tratta di un’infezione che può trasmettersi per esempio sedendosi sullo stesso wc o frequentando piscine, ma è noto che il sesso giochi un ruolo importante e sembra più comune in donne che fanno sesso con donne. Come ricordano i Centers for Disesase and Prevention americani infatti la vaginosi batterica non è praticamente riscontrabile nelle donne che non hanno mai avuto rapporti, mentre avere più partner invece, così come sottoporsi a lavande vaginali, aumenta il rischio di soffrirne. Tra i fattori che predisponogno all’infezione può essere anche una minor presenza di lactobacilli, batteri considerati buoni per la salute del microbiota vaginale. Soffrire di vaginosi aumenta il rischio di contrarre malattie trasmesse sessualmente.
Generalmente la vaginosi è asintomatica e non richiede trattamenti, ma in alcuni casi può causare dolore, bruciore, secrezioni vaginali e spiacevoli odori, specialmente dopo i rapporti sessuali. Quando necessario il trattamento è di tipo antibiotico.
Il trapianto di microbiota vaginale
In alcuni casi però la vaginosi può essere un fastidio ricorrente, resistente ai trattamenti antibiotici. Ed è qui che si inserisce la sperimentazione di Eran Elinav del Weizmann Institute of Science (Rehovot, Israele), che insieme ai colleghi ha testato l’efficacia di un trapianto di microbiota vaginale in 5 donne con storia di vaginosi ricorrente resistente ai trattamenti, in maniera analoga a quanto si effettua nel caso di trapianto fecale. Si tratta di uno studio veramente piccolo, ma rappresenta una prova di concetto a sostegno della fattibilità del trapianto. Il team di Elinav ha selezionato il fluido vaginale di alcune donatrici, eslcudendo la presenza di infezioni e chiedendo astenzione dai rapporti sessuali prima dlele donazione. Successivamente gli scienziati hanno sopttoposto a trattamento antibiotico le partecipanti allo studio e dopo una settimana hanno effettuato il trapianto di microbiota vaginale. Per quattro su cinque donne la procedura effettivamente sembrava funzionare: nel corso dei mesi successivi i sintomi miglioravano e si osservava la ricostituzione di un fluido vaginale dominato dai lattobacilli. Nessun effetto avverso è stato osservato nella partecipanti anche se in un caso la procedura ha portato solo a una remissione incompleta.
Quale futuro per il trapianto di microbiota vaginale?
Come accennato si tratta di un piccolissimo studio, volto a testare soprattutto la fattibilità del processo. Per capire se davvero il trapianto vaginale potrà rappresentare un’opzione sicura in più contro la vaginosi batterica (per i casi gravi e resistenti agli antibiotici, s’intende) serviranno sperimentazioni più grandi, che confrontino l’efficacia dle trapianto con un placebo.
Riferimenti: Nature Medicine