Triptorelina: non è un farmaco per cambiare sesso

triptorelina

In Italia dobbiamo proprio essere impazziti. Almeno a leggere i titoli di certi giornali: La sanità pubblica passa la puntura per far cambiare sesso ai minori. O ancora, più incisivo (nel caso ce ne fosse bisogno): Ci costringono a pagare il farmaco che fa cambiare sesso ai ragazzini. Insomma: che succede? Ci siamo trasformati di colpo in una roccaforte della fantomatica, e temutissima pare, teoria gender (che, ricordiamolo, non esiste)? Non proprio: capita che l’Aifa, su richiesta delle principali società scientifiche italiane, ha stabilito l’estensione della prescrivibilità e rimborsabilità di un farmaco utilizzato per il trattamento della disforia di genere negli adolescenti. Si chiama triptorelina, ed è una molecola in grado di agire sul sistema endocrino e sospendere così l’arrivo della pubertà.

Peccato che con il cambio di sesso non c’entri proprio nulla: il suo utilizzo è motivato, piuttosto, dalla necessità di concedere qualche anno in più ai ragazzi che non si riconoscono nel fenotipo sessuale con cui sono nati. Per permettere di riflettere con più calma sul da farsi e, al contempo, mitigare l’impatto psicologico, spesso devastante, che ha per loro lo sviluppo dei caratteri sessuali secondari, come la barba, il seno, le mestruazioni e via dicendo. Una terapia che gli specialisti valutano con estrema attenzione, nell’ambito di un percorso lungo e meditato, che prevede un equipe multidisciplinare e il coinvolgimento (attivo e obbligatorio) dei genitori, prima di riconoscere l’utilità di un intervento farmacologico. Ma che tra disinformazione e fake news, a qualcuno non pare proprio andare giù.

Il farmaco

Iniziamo dall’oggetto del contendere. “La tritorelina è un agonista del rilascio dell’ormone gonadotropico”, spiega a Wired Paolo Vitti, presidente della Società italiana di endocrinologia, una delle quattro società scientifiche italiane che lo scorso anno hanno firmato una richiesta indirizzata ad Aifa per chiedere la rimborsabilità del farmaco anche in caso di adolescenti con disforia di genere. In poche parole – racconta l’esperto – agisce bloccando la secrezione delle gonadotoprine, ormoni che stimolano le gonadi e regolano quindi la secrezione degli ormoni sessuali (come il testosterone e gli estrogeni). “È un farmaco utilizzato da anni in molti tipi di pazienti – sottolinea Vitti – per esempio per bloccare il ciclo mestruale in caso di sanguinamenti genitali legati diverse patologie, in attesa dell’arrivo naturale della menopausa, o per il trattamento di tumori ormono-dipendenti come il quello al seno o il cancro alla prostata. Insomma: si tratta di un farmaco usato da anni e dagli effetti completamente reversibili. È per questo che gli specialisti che seguono i ragazzi con disforia di genere hanno iniziato a utilizzarlo: si tratta di un farmaco estremamente efficace e sicuro”.

La disforia di genere

Capito di cosa parliamo, perché utilizzarlo in ragazzi pre-adolescenti? La disforia di genere è una condizione che spesso compare presto nel corso della vita: capita quando un bambino o una bambina non si riconosce nel genere sessuale determinato dai suoi cromosomi. “È una condizione che spesso regredisce nel corso della crescita, ma quando prosegue fino all’arrivo dell’adolescenza può creare fortissimi disagi”, racconta a Wired Maria Cristina Meriggiola, ginecologa ed endocrinologa dell’università di Bologna, e responsabile del programma sui disturbi dell’identità di genere del Policlinico S. Orsola-Malpighi. “L’inizio della pubertà è un momento estremamente difficile da affrontare per questi ragazzi, che vedono il loro corpo modificarsi sensibilmente in una direzione che li mette a disagio”.

I primi peli di barba, i cambiamenti nella struttura corporea, lo sviluppo del seno, sono tutti cosiddetti caratteri sessuali secondari. Cambiamenti a cui andiamo incontro con l’arrivo della maturità sessuale, che danno ai nostri corpi le caratteristiche fenotipiche di un adulto del sesso stabilito dai nostri cromosomi. Per un ragazzo che non si sente di appartenere al proprio genere biologico, si tratta di cambiamenti che hanno un enorme impatto sulla psiche.

“Abbiamo pazienti che diventano anoressiche, per cercare di impedire al proprio corpo di assumere le forme femminili”, ricorda Meriggiola, “molti ragazzi sviluppano forte depressione, stati di ansia, adottano comportamenti autolesionistici che possono portare, nei casi più estremi ma purtroppo non così rari, fino al suicidio”. In questo campo non esistono molte statistiche, ma una rassegna pubblicata su Lancet Diabetes and Endocrinology nel 2017 aiuta a snocciolare qualche numero: viene citata per esempio una ricerca del 2016, che ha studiato218 bambini e adolescenti con disforia di genere all’arrivo della pubertà, individuando 84 eventi di autolesionismo74 di pensieri suicidi e ben 29 tentativi di suicidio. Comorbidità psicologiche che a guardare la letteratura disponibile non sono legate tanto al disagio dei ragazzi per il proprio corpo, o la propria sessualità, quanto piuttosto al rifiuto e al bullismo che sperimentano da parte del resto della società. È per questo – sottolinea l’esperta – che non si può liquidare la disforia di genere come un semplice disagio psicologico passeggero. Ed è per questo motivo che la comunità scientifica internazionale si è orientata, negli ultimi anni, verso l’adozione di una terapia farmacologica per aiutare questi ragazzi. Semplicemente, si tratta di salvare delle vite.

Ritardare la pubertà

A differenza di quanto scritto da alcuni giornali, la triptorelinanon viene prescritta per spingere questi ragazzi al cambiamento di sesso (non è questa la sua azione farmacologica), né per promuovere in alcun modo una modifica della loro identità digenere. Il razionale di utilizzo è tutt’altro: ritardare l’arrivo della pubertà con tutti i cambiamenti fisici che comporta, in modo da concedergli più tempo per ragionare con calma sul proprio dissidio interiore, comprendere realmente quale identità di genere sentano propria, e decidere come procedere. “L’utilizzo del farmaco arriva solo dopo un percorso molto strutturato, in cui i ragazzi e i loro genitori sono assistiti da psicologi, psichiatri, endocrinologi”, spiega l’esperta. “La triptorelina viene assunta, al massimo, per circa due anni, al termine dei quali i giovani, ormai adolescenti, decidono se sospendere il percorso, o di continuare la strada verso il cambio di genere”.

Per i minorenni continuare su questa strada vuol dire iniziare una terapia ormonale che modifica il loro fenotipo in direzione del sesso a cui sentono di appartenere. E, solo dopo la maggiore età, decidere se e quando affrontare gli interventi chirurgiciche renderanno la transizione definitiva. Per loro, aver utilizzato la triptorelina vuol dire non aver affrontato i cambiamenti corporei incompatibili con la propria idea di genere, con i disagi psicologici che comportano, e anche trovarsi a vivere da adulti in un corpo più congruente con il fenotipo del genere desiderato. Per chi interrompe il trattamento e si rende conto di trovarsi a proprio agio col sesso assegnatogli dalla biologia, invece, non ci sono effetti collaterali: la pubertà inizia con qualche anno di ritardo, e fa il suo corso regolarmente.

“Si tratta di una terapia che viene utilizzata solo da pochi anni, e quindi i dati di letteratura non sono ancora molti”, spiega Meriggiola. “Ma quelli disponibili ci dicono tutti che non ci sono effetti nocivi legati al trattamento con la triptorelina. Per questo motivo è consigliata in tutte le linee guida internazionali per la presa in carico della disforia di genere”. Abbiamo stabilito che non si tratta di un trattamento che fa cambiare sesso, che è una terapia consigliata in tutti i paesi sviluppati, e che tutte le evidenze scientifiche disponibili dicono che non ha effetti collaterali permanenti. L’ultimo dubbio da chiarire, forse, è perché si è deciso di rimborsare l’utilizzo di questo farmaco. “È una questione di giustizia e accessibilità”, spiega l’esperta. “Il trattamento costa migliaia di euro ogni anno, che vanno ad aggiungersi ad altre spese, ingenti, che queste famiglie devono sostenere. Solamente così è possibile garantire a tutti i ragazzicon una disforia di genere gli stessi diritti”.

via: Wired.it

2 Commenti

  1. In senso stretto non si tratta certo di un farmaco per far cambiare sesso ai minorenni. Ma il problema è che nella prassi clinica italiana non è prevista alcuna “indagine della la propria identità di genere”. Attualmente, in assenza di problemi di natura psichiatrica, si passa dopo pochissime sessioni psicologiche alla somministrazione degli ormoni. In alcuni casi addirittura dopo la prima. E non potrebbe neanche avvenire diversamente, dal momento che l’OMS non considera più la disforia di genere, il desiderio di appartenere o assomigliare al genere opposto, un disagio o una patologia.
    Quindi quei titoli che Lei chiama “impazzati”, sono giustificati.

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