State per cliccare sulla f o sull’uccellino qui di fianco (o di sopra)? Aspettate un attimo. Distogliete lo sguardo dallo schermo. Fate un respiro profondo. E, almeno stavolta, provate a leggere tutto, prima di condividere. Inutile negare: siamo tutti colpevoli. “Abbiamo scoperto che non ci sono correlazioni tra le condivisioni sociali di un articolo e i contenuti realmente letti dalle persone”. Parola di Tony Haile, Ceo di Chartbeart, società specializzata nella misurazione real-time del traffico dei siti web: alla luce di questa scoperta, secondo Haile, è necessario che i grandi gruppi editoriali ripensino la propria strategia di promozione dei contenuti e di marketing verso gli inserzionisti.
“È piuttosto ovvio che ci sia una relazione implicita tra il numero di persone che cliccano il link a un articolo e l’attrattività dell’articolo stesso”, spiega The Verge, commentando la notizia, “ma sostenere improvvisamente che una storia è stata twittata da un milione di persone ma letta da molti meno utenti (o viceversa) è ben altra cosa”. I dati di Chartbeat parlano chiaro. Sebbene le dichiarazioni di Haile siano state parzialmente smussate da Josh Schwartz, data scientist per Chartbeat, che ha sostenuto si riferissero soltanto a Twitter e non agli altri social media, è altamente probabile che tutte le piattaforme (per esempio le condivisioni su Facebook) seguano un andamento simile. Like, retweet e condivisioni aumentano senza dubbio il traffico verso un contenuto, ma tutto questo non implica che quel contenuto sarà letto da più persone.
Le possibili spiegazioni, sempre secondo The Verge, sono diverse. Anzitutto, bisogna tener conto del fatto che la maggior parte delle condivisioni arriva da dispositivi mobili, un contesto in cui lettori passano poco tempo su ogni pagina. È anche possibile che i contenuti più condivisi contengano tutte le informazioni necessarie in titolo e sommario – il che implica che l’utente medio si ferma alla lettura delle prime righe, considerando il resto superfluo. O ancora, parafrasando Warhol, potrebbe dipendere dal fatto che siamo tutti profondamente superficiali. E basta una scorsa sommaria a un articolo, senza alcun approfondimento, per convincerci a condividerlo con i nostri amici.
In ogni caso, come si diceva all’inizio, siamo tutti colpevoli. Alzi la mano chi non ha mai rilanciato una storia sui social network senza averla preventivamente letta a fondo. Lo ha ammesso perfino Taylor Lorenz, social media manager per il Daily Mail: “Ogni giorno, per lavoro, condivido centinaia di articoli. E sì, non leggo buona parte di essi. Penso che chiunque dica di aver letto e ponderato ogni articolo prima di condividerlo stia in realtà mentendo”. Un altro studio di Upworthy è arrivato più o meno alla stessa conclusione, in maniera più quantitativa: il grafico delle condivisioni di un articolo in funzione dei minuti passati sulla pagina segue un andamento a S rovesciata. Chi ha appena intravisto il contenuto è più portato a condividerlo rispetto a chi ne ha letto più o meno la metà (fortunatamente poi il trend cresce: anche chi legge tutta la storia alla fine la condivide).
Cosa insegna tutto questo? Che probabilmente, anziché le visualizzazioni di pagina o gli utenti unici, i bisognerebbe analizzare meglio i minuti di attenzione, la quantità totale di tempo che gli utenti trascorrono attivamente sul sito. È tutto. Adesso potete anche condividere.
Via: Wired.it
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