“Finché l’uomo e gli altri animali saranno considerati come creazioni indipendenti, sarà messo un ostacolo forte alla nostra […] ricerca delle cause dell’espressione” scriveva Darwin ne L’espressione delle emozioni (1872). Ma ancor oggi la maggior parte dei libri di testo scolastici, dopo aver affermato che l’Uomo appartiene al regno animale, mette in evidenza le differenze con “gli altri” in modi che negano implicitamente la continuità sostanziale del processo evolutivo. Proprio su questa continuità invece si fonda il lavoro di ricerca di Frans De Waal che presenta, in questo volume (L’ultimo abbraccio. Cosa dicono di noi le emozioni degli animali, Raffaello Cortina Editore, 2020 pp. 390, € 28,00) i suoi interessanti risultati sulle emozioni negli animali osservati nel corso della sua lunga esperienza di primatologo ed etologo.
Tu chiamale se vuoi emozioni
Sulla stessa definizione di emozione si sono scontrate e continuano ad essere in disaccordo varie scuole accademiche, dai behavioristi skinneriani, che le considerano cause fittizie dei diversi comportamenti, fino agli studiosi che, guidati dalle manifestazioni delle emozioni umane, cercano di indurle sperimentalmente negli animali per analizzarle in maniera sistematica. Gli studi di De Waal vogliono indirettamente portarci a ritrovare in noi stessi tanti comportamenti animali, per riconoscerne l’origine biologica e imparare a conoscerci meglio, riflettendo anche sugli scopi, sui sogni, sulla capacità di decisione e di scelta di noi umani.
Prese da sole, spiega De Waal, le emozioni sono piuttosto inutili se non inducono reazioni adattative alle varie situazioni in cui si manifestano: se la paura spinge un individuo a scappare da un pericolo, può salvargli la vita. La grande differenza tra emozioni e istinto, però, è che gli istinti sono reazioni impulsive, poco utili in un mondo che cambia continuamente; le emozioni invece permettono d valutare velocemente la situazione, confrontare l’esperienza attuale con altre passate e scegliere un comportamento: non sempre la paura spinge alla fuga.
Il dualismo che non c’è
L’errore più grande degli studi sul comportamento (compreso quello umano) è stato quello di credere che le emozioni siano l’opposto delle capacità cognitive, e molte religioni hanno contribuito a costruire artificialmente un dualismo emozione/intelligenza mentre in realtà i due aspetti non possono esistere l’uno senza l’altro. La mente umana, dunque, ha bisogno di un contenitore fisico, di un corpo che non sia distaccato da tutto ciò che gli accade intorno ma che, soprattutto, sia in continuità biologica ed evolutiva con ciò che è venuto prima nel tempo e che è stata ereditata dagli animali: il disprezzo per il corpo e i tentativi di annientarlo perché causa di impulsi e sensazioni incontrollabili hanno condizionato la nostra civiltà. Ma il fatto che possa esistere uno spirito umano dissociato dalla sua biologia, dal suo corpo e dalla sua storia è soltanto una illusione. I pregiudizi culturali e religiosi che ci hanno indotto a credere all’esistenza di una ragione scollegata dalle componenti emotive sono una pura illusione. Ed è molto interessante notare come siano proprio gli studi sugli animali a portarci verso la rivalutazione consapevole di un aspetto tanto importante della nostra stessa esistenza.
Le neuroscienze moderne hanno in parte abbandonato l’idea di considerare emozioni e razionalità come due forze opposte e le attente osservazioni di differenti comunità animali hanno messo in evidenza non solo la presenza di una intelligenza emotiva ma anche una varietà di comportamenti biologici che precedentemente venivano considerati essenzialmente culturali e cioè tipici degli umani. Così sono state osservate la solidarietà e l’empatia che tengono unite le strutture sociali delle scimmie antropomorfe, il piacere per il solletico sperimentato nei topi, il senso di giustizia dei cebi, la perplessità davanti alla morte negli scimpanzé, il rispetto reciproco negli elefanti, il bisogno di rincantucciarsi in tane nascoste nei pesci tropicali, il disgusto per i cibi cattivi, la capacità di scelta e di “libero arbitrio” in quasi tutte le specie.
Accanto a queste buone qualità, abbiamo ereditato anche quelle cattive: la prepotenza dei maschi, troppo poco controllata dall’autorevolezza di alcune femmine, la violenza aggressiva o subdola per esercitare il dominio sulla comunità, la difesa “aggressiva” dei propri territori e l’ostilità per i diversi. La civiltà non ha fatto molto per migliorare la coesistenza umana e non possiamo dimenticare che, quando gli esploratori civilizzati hanno incontrato popoli illetterati, i più violenti sono stati sempre i primi che anche troppo spesso hanno massacrato i loro ospiti. E gli esempi non mancano neppure in piccole enclavi della società attuale.
Ovviamente, nota De Waal, esiste una profonda differenza tra il comportamento che esprime emozioni e l’esperienza consapevole di questi stati. Nessuno può sapere veramente cosa provano gli animali e si può solo congetturarlo. E’ probabile che provino sensazioni simili alle nostre ma si tratta sempre di interpretazioni difficilmente verificabili.
Sensazioni ed emozioni
Bisogna ancora distinguere tra sensazioni ed emozioni: le sensazioni sono stati soggettivi interiori, conosciuti soltanto da chi le prova; le emozioni sono stati corporei e mentali che influenzano il comportamento. Le emozioni possono essere riconosciute dall’esterno osservando (e fotografando) le espressioni del viso, i cambiamenti nelle posture corporee, gli atteggiamenti reciproci tra individui. La ricca documentazione fotografica di De Waal è ormai accompagnata da indagini svolte sull’attivazione di aree cerebrali specifiche in condizioni sperimentali: immagini e neuroimmagini indicano straordinarie somiglianze nella manifestazione di espressioni umane e animali.
Certo, le condizioni sperimentali influenzano vistosamente i risultati: fino a non molto tempo fa si studiavano animali isolati, estratti dalle loro comunità e dal gruppo di cui facevano parte, messi davanti a rivelatori delle loro onde cerebrali, guardando i risultati individuali dei test a cui venivano sottoposti.
Oggi si cerca di avviare sperimentazioni in condizioni sempre più simili alla vita normale degli individui, osservando dinamiche di gruppo e di interazione ed eliminando (almeno per gli animali) le difficoltà da “esame di stato” in cui un singolo deve dimostrare le sue capacità davanti ad una commissione di esaminatori. E’ vero che in ogni sperimentazione bisogna misurare i risultati ottenuti in base a standard definiti, ma perché non dovremmo aspettarci che ogni animale abbia intelligenza ed emozioni adatte ai sensi ed alla storia naturale che lo caratterizzano? Perché la vita mentale di un pesce e di un uccello dovrebbero essere uguali? Come descriverle?
Persino le comunicazioni in linguaggio accademico testimoniano lo spirito con cui si effettuano alcune ricerche. Le cose stanno lentamente cambiando ma, per lungo tempo, l’uso di astrazioni nel linguaggio “convenzionalmente scientifico” rivela – o rilevava- il differente atteggiamento dei ricercatori nelle descrizioni delle emozioni umane ed animali: così per esempio gli animali non “fanno sesso” ma “adottano comportamenti riproduttivi”; non hanno “amici” ma “affiliati preferiti”; e se di un umano che risulta perdente in uno scontro si può dire che “prova vergogna” per un animale si dice che “adotta un atteggiamento subordinato”. Anche il linguaggio sta cambiando, ma questi esempi fanno comprendere alcune delle difficoltà che condizionano la stessa ricerca scientifica.
Noi e gli altri
Non mancano, in conclusione del libro, alcune importanti considerazioni sulla “mancanza di rispetto” dell’uomo per gli animali ed i loro spazi vitali, ridotti e deteriorati dall’invasione della nostra civiltà. Oggi, è meglio per una scimmia antropomorfa vivere in una sorta di cattività intelligente piuttosto che libera nel suo ambiente, ormai reso dall’uomo inadatto alla sue esigenze. Le condizioni stressanti di vita per animali allevati a scopo alimentare potrebbero far riflettere sul costo pagato da “loro” per mantenere il “nostro” bisogno di proteine… forse sostituibili con altre tecnologie.
E’ difficile dubitare che gli animali abbiano emozioni ma cosa succederà nella futura società di robot? Proprio generalizzando il bisogno di relazione, De Waal conclude ricordando i suggerimenti originati dall’affective computing, o informatica affettiva che vuole equipaggiare i robot con stati interiori finalizzati all’azione, proprio come l’evoluzione ha fatto con noi.
Il libro:
Frans de Waal, L’ultimo abbraccio. Cosa dicono di noi le emozioni degli animali, Raffaello Cortina Editore, 2020, pp. 390, € 28,00.