L’adesione al Protocollo di Kyoto per la riduzione delle emissioni dei gas serra sarà pure troppo costosa per l’economia americana, come afferma Gorge W. Bush, ma per noi italiani potrebbe un buon affare. Infatti, anche l’inquinamento costa, e una politica di conversione della produzione di energia a favore del gas e delle sorgenti rinnovabili farebbe risparmiare al nostro Paese qualcosa come 900-1500 milioni di euro (pari a circa 1800-3000 miliardi di lire) l’anno. E ciò varrebbe anche tenendo conto dei costi ambientali dovuti al solo inquinamento locale e senza contare gli effetti globali, le cui stime sono ancora piuttosto incerte. Di questo sono fermamente convinti Giulio De Leo, del Dipartimento di scienze ambientali dell’Università di Parma, e Marino Gatto, del Politecnico di Milano, che pubblicano su Nature di questa settimana i risultati di uno studio comparativo dei costi di produzione e delle spese socioambientali relative al settore energia elettrica (responsabile, in Italia, di un terzo delle emissioni di gas serra).
Nella loro analisi, realizzata anche grazie al contributo di Andrea Caizzi e Luca Rizzi del Centro elettrotecnico sperimentale italiano (Cesi) di Milano , i ricercatori italiani hanno tenuto conto sia dei costi industriali diretti (costo di investimento dell’impianto, ore di utilizzazione, rendimento, costi di esercizio, ecc.) che dei costi ambientali, le cosiddette esternalità. Ci sono esternalità locali, legate all’inquinamento delle acque, dell’aria e del suolo, monetizzabili in termini di spese sanitarie, mancata produttività di certi settori (per esempio quello agricolo, che è danneggiato dal fenomeno delle piogge acide), pulizia di monumenti deturpati dai gas e dalle polveri. E ci sono esternalità globali, cioè perdite economiche dovute agli effetti climatici (innalzamento della temperatura planetaria, desertificazione, danni alla biosfera). Tutti questi costi, pur non essendo contabilizzati dalle aziende produttrici, ricadono comunque sulle spalle dei cittadini.
Utilizzando i dati dell’Enel, dell’Enea, dell’Eni e del Cesi per quanto riguarda i costi diretti di produzione e basandosi sui risultati di alcuni importanti studi internazionali (soprattutto la ricerca europea ExternE, relativa agli anni ‘90) per le stime delle esternalità, De Leo e Gatto hanno delineato tre scenari possibili per l’Italia del 2010. Nel primo caso, la produzione è orientata alla minimizzazione dei soli costi industriali (scenario “Bau”, come “business as usual”, cioè la proiezione nel futuro dell’attuale politica di produzione energetica). E questo è il punto di vista del gestore privato, che vuole ridurre le spese dirette per massimizzare il profitto. Il secondo scenario è identico al primo con in più l’obbligo di ridurre le emissioni di gas serra del 6,5%, pari agli obiettivi di Kyoto per l’Italia (“Bau+Kyoto”). Nel terzo caso si tende invece alla minimizzazione dei costi totali, cioè sia di quelli industriali sia di quelli socioambientali locali e globali (“Msc”, che sta per “minimizing social cost”). Tutti gli scenari sono vincolati al soddisfacimento della domanda stimata di energia elettrica nel 2010 (353 milioni di KWh) e ai cosiddetti “vincoli di sistema”, legati alle tecnologie e alle effettive risorse del Paese.
Un risultato saliente dello studio di De Leo e Gatto è che la situazione “Bau+Kyoto”, che rappresenta un compromesso tra interessi pubblici e privati, comporterebbe, a fronte di un aumento di 308 milioni di euro nei costi industriali diretti, un risparmio di 1829 milioni di euro l’anno per ridotte esternalità (1068 milioni da quelle locali e 761 milioni di euro da quelle globali). Ci sarebbe dunque, oltre alla riduzione delle emissioni di gas, un risparmio netto di 1521 milioni di euro rispetto allo scenario “Bau” e un riorientamento nelle produzioni energetiche verso fonti meno inquinanti: più gas, più sorgenti rinnovabili (eolico, geotermico, fotovoltaico, biomasse, ecc.) e meno carbone.Lo scenario “Msc”, che consentirebbe il risparmio netto annuale massimo (2 miliardi di euro), comporterebbe un aggravio pari 600 milioni di euro nei costi industriali.Mentre le stime sulle esternalità locali sono abbastanza precise, lo stesso non si può dire per quelle globali. Lo studio ExternE le valuta tra 4 e 140 euro per tonnellata di CO2. Una delle giustificazioni avanzate dall’amministrazione Usa per non ratificare il Protocollo di Kyoto è appunto la troppa incertezza sulle stime dei cambiamenti climatici globali. Ma la scusa, almeno per l’Italia, non regge: in un ulteriore scenario De Leo e Gatto hanno attribuito costo zero alle esternalità globali e hanno verificato che, minimizzando solo la somma dei costi industriali e di quelli esterni locali, il risparmio netto sarebbe ancora alto: ben 918 milioni di euro per anno.
“È il risultato più eclatante”, commenta Gatto, “e, a dire il vero, non ce lo aspettavamo. Abbiamo fatto tantissime simulazioni ma la conclusione è robusta: all’Italia conviene aderire al protocollo di Kyoto, perché diminuire l’inquinamento locale e i costi associati, è motivazione sufficiente per ridurre l’impiego dei combustibili che sono anche responsabili dei mutamenti climatici globali”. Effetto serra o no quindi, concludono i ricercatori sulle pagine di Nature, alla luce di questa analisi “qualunque esitazione o ritardo nella riduzione delle emissioni di gas inquinanti non è più giustificabile”.