Il becco del calamaro gigante di Humboldt (Dosidicus gigas) sembra, a prima vista, un crudele scherzo della natura: è dotato di una punta rigida, affilata e tagliente come quella di un coltello, ma non vi è alcuno scheletro per sostenere il colpo che verrà sferrato alle prede. Anzi, la sua base è formata da un tessuto estremamente molle e soffice.
I ricercatori del Dipartimento di Sviluppo Molecolare e Cellullare dell’Università della California hanno ora provato a capire come il calamaro possa usare questa potente arma senza arrecare danni al suo stesso corpo, combinando in modo tanto efficiente i due tipi di tessuto. E, ovviamente, stanno cercando di imitarlo.
Secondo Herbe Waite, Ali Miserez e Frank Zok, autori dello studio pubblicato su Science, i tessuti molli del calamaro sono in grado di sopportare la forza esercitata dalla punta del becco durante gli attacchi proprio perché questo, man mano che ci si avvicina alla base, diventa sempre più morbido e flessibile: i ricercatori hanno determinato la composizione chimica di ciascuna sezione del becco, verificando l’esistenza di un gradiente per cui la punta (costituita da uno dei materiali, interamente organici, più duri che si conoscano) risulta cento volte più rigida della base. Questa singolare combinazione di rigidità e flessibilità, che varia da punto a punto, è regolata dalle concentrazioni di chitina, proteine arricchite di istidina e di un composto noto come dopa. (g.r.)
Foto: Rick Starr-NOAA/CBNMS.