Cellule staminali per curare più di 70 malattie, dalla sindrome di Down all’Alzheimer. Il ritorno di Stamina? No, non proprio. Almeno stavolta non c’entra il nostro Paese, anche se i toni utilizzati da Jyoti Titus, manager della clinica Nutech Mediworld a New Delhi in India, sembrano ricalcare quelli del tristemente noto Davide Vannoni.
“È la prima volta, a quanto ci risulta, che le cellule staminali vengono usate nel trattamento della sindrome di Down”, annuncia il portavoce della clinica indiana, che rende noto di aver iniziato un trial su ben 14 pazienti. La notizia è stata riportata da New Scientist e da un’agenzia di stampa indiana, ma per il momento non si trovano in rete ulteriori conferme da parte dei diretti interessati, né esiste al momento una pubblicazione ufficiale sullo studio in questione.
I fatti
Ciò che si sa è che un anno fa Geeta Shroff, direttore medico della Nutech Mediworld, ha pubblicato sulla rivista Journal of Medical Cases un articolo scientifico in cui descrive il caso clinico di un bambino nato prematuro e con diagnosi di sindrome di Down, che presentava seri ritardi motori e cognitivi e altre deficienze compatibili col quadro della malattia genetica.
Sotto supervisione medica il bambino è stato sottoposto ogni tre mesi a diversi cicli di trattamento con cellule staminali embrionali che, secondo Shroff, ne hanno migliorato le condizioni cliniche, rafforzando il tono muscolare e acuendo le capacità cognitive del paziente. Oggi il bambino, residente a Singapore, ha tre anni e, a detta del team che lo ha in cura, rispetta gli standard di sviluppo della sua età.
La rivista che ha pubblicato lo studio, pur dichiarandosi open peer reviewed, ha un impact factor molto basso, cioè i suoi articoli sono stati citati molto poco dal resto della letteratura scientifica, il che di certo non contribuisce ad accrescere il valore e l’attendibilità del lavoro.
Nonostante l’India abbia introdotto linee guida nazionali sulla ricerca clinica con cellule staminali circa una decina di anni fa, queste non sono vincolanti. Un fatto, questo, che rende possibile il fiorire di cliniche private che sponsorizzano apertamente trattamenti rivoluzionari ai pazienti, senza che sia necessario fornire documentazioni di comprovata validità scientifica.
L’autrice dello “studio”: Geeta Shroff
Geeta Shroff è direttrice medico della Nutech Mediworld di Dehli e responsabile dello studio pubblicato nel 2016 sul Journal of Medical Cases prima citato. Abbiamo tentato di contattarla per chiederle maggiori informazioni circa la sua attività clinica e di ricerca. Una veloce ricerca in rete infatti permette di trovare dichiarazioni molti forti attribuitele. In questo articolo, per esempio, viene dipinta come un outsider della scienza, che non condivide i propri risultati né sottopone i propri lavori a peer review, cioè il processo di revisione tra pari su cui si basano le maggiori riviste scientifiche e l’intera comunità scientifica per verificare l’attendibilità di uno studio, perché lei non ha pari. Restiamo in attesa di riscontri da parte della diretta interessata.
La sindrome di Down
La sindrome di Down è una condizione genetica che colpisce circa un bambino ogni 1000 nati vivi. In gergo tecnico è una aberrazione cromosomica, in particolare una anomalia nel numero di cromosomi dell’individuo: il numero corretto di cromosomi presente in ciascuna cellula di una persona è 46 (23 coppie), ma chi è affetto da sindrome di Down ha un cromosoma in più. Come per molte condizioni congenite, non esistono cure definitive per la sindrome, ma i pazienti vengono seguiti fin dalla nascita con terapie di supporto volte a migliorare le loro abilità fisiche e cognitive e cercare di risolvere i problemi che possono presentarsi durante la loro vita.
I dubbi degli esperti
“L’uso di queste cellule [cellule staminali embrionali, ndr] non ha alcun senso dal punto di vista biologico”, denuncia John Rasko dell’International Society for Cellular Therapy, “e potrebbe anzi comportare rischi considerevoli per i bambini coinvolti”. Le cellule staminali, infatti, sono considerate dalla comunità scientifica internazionale uno strumento dal grandissimo potenziale per la cura di alcune patologie perché sono in grado di dare origine a nuovi tessuti, che dunque potrebbero sostituire le strutture danneggiate, ma bisogna tenerne in debita considerazione anche gli eventuali effetti collaterali, tra cui reazioni infiammatorie anche gravissime. Gli esperti del settore si chiedono in che modo queste cellule possano avere un’efficacia e migliorare il quadro clinico dei pazienti con sindrome di Down.
Ulteriori perplessità emergono da alcune dichiarazioni relative alla sperimentazione in corso: Titus sostiene che la somministrazione di queste cellule ai pazienti non abbia richiesto l’utilizzo di immunosoppressori, cioè farmaci che impediscono al sistema immunitario del paziente di attaccare e distruggere corpi estranei. Che è poi quello che avviene normalmente nel corpo in caso di infezione da virus e batteri, e anche in caso di trapianto di organi senza terapia immunosoppressiva (il cosiddetto rigetto).
“Chi ha condotto lo studio sembra non aver idea di dove [le cellule] siano andate o cosa stiano facendo”, afferma Victor Tybulewicz, del Francis Crick Institute di Londra “Il risultato più probabile delle iniezioni è che siano state riconosciute come estranee e eliminate dal sistema immunitario“. Per la comunità scientifica internazionale, in sostanza, non ci sono basi per dire che le iniezioni abbiano portato alcun beneficio. La Nutech Mediworld, però, continua a sostenere che tutti i dettagli verranno svelati nella prossima pubblicazione dello studio.
Via: Wired.it