“Il XXI secolo ha posto l’umanità di fronte a sfide impreviste, tra cui l’eventualità di terrorismo nucleare”, afferma Gábor Tigyi, professore di fisiologia della University of Tennessee. Dopo il disastro di Fukushima e il rischio crescente di attentati che sfruttino materiali radioattivi, la comunità scientifica è stata spinta a cercate soluzioni valide per l’avvelenamento da radiazioni. Una sfida a cui Tigyi e il suo team potrebbero aver iniziato a dare risposta. La loro ricerca, pubblicata da Chemistry & Biology, presenta infatti un farmaco che si dimostrerebbe efficace nel prevenire i danni fisiologici generati dall’esposizione a radiazioni nucleari.
“Ci auguriamo che i nostri sforzi forniranno una protezione strutturata su contromisure mediche contro gli effetti dannosi delle radiazioni ionizzanti, e che possano anche aiutare a trarre beneficio dagli effetti utili della tecnologia nucleare”, continua il ricercatore.
L’avvelenamento da radiazioni causa, negli istanti immediatamente successivi all’esposizione, sintomi gravi come diarrea, vomito e nausea, per poi sfociare, dopo un periodo di latenza, in disturbi cutanei, ematopoietici, gastro-intestinali, respiratori e cerebrovascolari, danneggiando infine irrimediabilmente gli organi interni. Il team di fisiologi della University of Tennessee ha pertanto deciso di indagare su una possibile cura per alleviare questi terribili effetti collaterali.
In studi precedenti, Tigyi e colleghi avevano individuato una molecola potenzialmente utile al loro scopo: l’acido lisofosfatidico, o Lpa, naturalmente generato durante la coagulazione del sangue. L’Lpa attiva infatti un recettore cellulare, Lpa2, che protegge dalla morte cellulare indotta da radiazioni. I risultati avevano portato alla sintesi di un farmaco capace di proteggere i topi dalla morte da radiazione; la terapia però non possedeva la potenza necessaria per l’uso clinico.
Perfezionando questi studi, il gruppo di ricerca ha identificato ora un composto, il Dbibb, in grado di proteggere le cellule embrionali dai danni al Dna causati da radiazioni e migliorare la sopravvivenza delle cellule esposte. Il 93% dei topi trattati con il Dbibb tre giorni dopo l’esposizione è sopravvissuto dopo 30 giorni, rispetto a solo il 20% dei topi che non sono stati trattati con il farmaco candidato.
“L’umanità potrebbe avere presto una difesa contro l’esposizione non intenzionale a radiazioni”, conclude Tigyi. “Questa tecnologia può potenzialmente anche aiutare i malati di cancro per gli effetti collaterali della radioterapia e gli astronauti da esposizione cronica ai raggi cosmici nel loro viaggio verso Marte.”
Riferimenti: Chemestry & Biology http://www.cell.com/chemistry-biology/abstract/S1074-5521%2814%2900457-8
Credits immagine: via Pixabay