Il continuo bombardamento di immagini e notizie di guerre, a cui i media ci sottopongono quotidianamente, ci ha resi ormai, forse, insensibili alla realtà di chi vive i conflitti in prima persona. Come spettatori di un film, non siamo più in grado di comprendere realmente ciò che accade nei teatri di guerra, che percepiamo come scenari distanti dalla nostra esistenza. Ridurre questa distanza è l’obiettivo principale di “L’impatto della guerra: Un giorno nella vita del conflitto siriano”, documentario multimediale sullo stato arabo realizzato da Medici senza Frontiere (Msf), organizzazione medico-umanitaria internazionale che fornisce assistenza alle popolazioni colpite da conflitti, epidemie e catastrofi naturali. Una toccante testimonianza che ha lo scopo di “mostrare il volto umano della crisi in Siria”, come afferma Joanne Liu, presidente internazionale di Msf.
In collaborazione con grandi cineoperatori e fotogiornalisti come Yuri Kozyrev e Kate Brooks, medici e volontari che operano nello stato di Damasco hanno voluto raccontare la cronistoria di un giorno qualunque di una guerra che sembra essere caduta nel dimenticatoio. “C’è una mancanza di umanità rispetto alla Siria, perché quando parliamo di Siria parliamo di cifre,” dichiara Joanne Liu. E in questo caso le cifre sono spaventose. In tre anni di conflitto sono stati più di 150000 i morti, più di nove milioni gli sfollati, un terzo dei quali è stato costretto a lasciare il paese. Ma ha ragione Joanne Liu quando afferma che queste sono solo sterili cifre che poco servono a trasmettere il loro reale significato a chi non vive questa condizione.
Che la guerra siriana sia un conflitto terribile lo si comprende dal fatto che non è stato possibile realizzare il documentario in Siria, in quanto territorio troppo pericoloso persino per giornalisti esperti. I luoghi descritti dal reportage sono quindi i campi profughi attrezzati da Msf nei paesi limitrofi allo stato di Damasco, quali Giordania, Iraq e Libano.
Nell’arco di sole ventiquattro ore, innumerevoli sono le emergenze che si susseguono e moltissime riguardano ragazzi sotto i vent’anni. Il lavoro dei medici è scandito dal non troppo lontano rimbombo delle esplosioni. Per molti dei feriti gli interventi di rianimazione sono del tutto inutili. Anche le condizioni dei campi profughi sono estreme. In Libano una madre manda la figlia adolescente a vivere con uno zio, “perché la latrina nel suo insediamento è troppo lontana dalla sua tenda, cosa pericolosa per le donne la notte”.
Dal limbo doloroso in Iraq alla ricerca di un rifugio in Libano, il reportage alterna racconti a immagini e riprese. Attraverso gli occhi degli operatori di Msf e dei loro pazienti si profila uno scenario spaventoso, di una popolazione martoriata da una guerra che sembra non avere fine. “Quello che abbiamo colto in un solo giorno non è altro che un minuscolo riflesso del crescente tributo umano del conflitto in Siria” racconta Moises Saman, fotografo dell’agenzia Magnum, inviato in Libano per il progetto.
La sfida principale che Msf ha dovuto affrontare è stata quella di raggiungere il maggior numero di bisognosi “senza correre eccessivi rischi per le nostre équipe e i nostri pazienti”, spiega Joanne Liu. “Questo progetto testimonia il tributo di sangue di un conflitto brutale ed implacabile ”.
Credits immagine: CAFOD Photo Library/Flickr