È un satellite della Via Lattea, un ammasso di stelle che orbita intorno alla nostra galassia, visibile nel cielo dell’ emisfero australe. Ma la Grande Nube di Magellano, vista la sua relativa vicinanza alla nostra galassia, è anche un oggetto celeste su cui gli astronomi possono misurare l’Universo, usando la sua distanza per stimare quella di altri oggetti celesti più lontani, come una sorta di scala di riferimento. Oggi un team di ricercatori guidati da Grzegorz Pietrzyński della Universidad de Concepción (Cile) e del Warsaw University Observatory (Polonia) è riuscito a determinare con un’accuratezza mai raggiunta prima questa distanza, migliorando la precisione di tutte le misure dell’Universo. Lo studio, cui hanno preso parte anche ricercatori dell’Inaf, è stato pubblicato su Nature.
Secondo le stime effettuate dai ricercatori la distanza della Nube di Magellano si attesta intorno ai 163mila anni luce, un numero che, precisa Pietrzyński, ha un’accuratezza del 2%. Per i loro calcoli gli scienziati hanno effettuato delle osservazioni di alcuni rari sistemi di binarie a eclisse monitorando attentamente cambi nella brillantezza delle stelle e le loro velocità orbitali, attingendo ai dati acquisiti attraverso l’Optical Gravitational Lensing Experiment, i telescopi del Magellan Clay e quelli dell’Eso a La Silla.
In questo modo i ricercatori sono riusciti a risalire alla massa e alla brillantezza intrinseca delle stelle. Un dato quest’ultimo fondamentale, perché permette di risalire alla distanza a cui si trova il corpo celeste basandosi sulla quantità di luce che effettivamente ci raggiunge (qui un approfondimento dell’Inaf sulla misura della distanza delle stelle). “Si tratta della più semplice e accurata tecnica messa a punto finora”, spiega Pietrzyński sul NewScientist commentando la misura ottenuta, 162,900 più o meno 3700 anni luce.
Un’accuratezza che ha un significato ben più ampio di quello di rifinire solamente un metro cosmico, visto che permetterà di migliorare la conoscenza sul tasso di espansione dell’Universo, come spiega anche all’Inaf Giuseppe Bono, dell’Università di Roma Tor Vergata, tra gli autori del paper: “Sfruttando questa misura, saremo in grado di ottenere il valore della costante di Hubble con una precisione del 2 o 3 per cento, mentre oggi è del 5-10 per cento. Potremo così conoscere meglio come sta evolvendo il nostro Universo e quindi, cosa altrettanto importante, ricavare con maggiore accuratezza la stima della sua età che potrà essere confrontata con le stime di età degli ammassi globulari”.
Via: Wired.it
Credits immagine: ESO/L. Calçada