Sono quasi 3 milioni i relitti navali che giacciono sul fondo degli oceani della Terra. Molti di essi si trovano in acque costiere, dove abbondano i pericoli per la navigazione, come rocce, fondali e altri relitti. Un aiuto per l’individuazione dei resti delle navi affondate può arrivare, sorprendentemente, da molto lontano. Addirittura dallo Spazio: stando al risultato di uno studio del team di Matthias Baeye del Royal Belgian Institute of Natural Sciences, pubblicato sul Journal of Archaeological Science, infatti, le immagini scattate da Landsat 8, il satellite Nasa/USGS per le osservazioni terrestri, possono essere utili per “smascherare” i relitti che si nascondono sotto le acque costiere.
Lo studio è stato condotto nelle acque antistanti al porto di Zeebrugge in Belgio – zona in cui abbondano imbarcazioni affondate risalenti alla Seconda guerra mondiale – ed è partito seguendo un procedimento inverso. Gli studiosi hanno preso come punto di partenza quattro imbarcazioni precedentemente localizzate con la tecnologia sonar, dopodiché hanno analizzato i modelli di maree e 21 immagini provenienti dal satellite Landsat 8; poi hanno mappato i flussi di sedimenti superficiali che si estendevano sino a 4 km dal luogo del relitto.
Il team ha poi notato che le strutture semisepolte delle imbarcazioni generano delle fosse che in momenti di scarso movimento delle acque sono riempite da sabbia, argilla e materiale organico; al ripresentarsi della marea, però, questi detriti ritornano in sospensione raggiungendo la superficie e generando le scie rivelatrici. I risultati della ricerca – spiegano i ricercatori – possono essere particolarmente fruttuosi nel Mare del Nord, luogo pieno di relitti come mine, sottomarini, navi da guerra e cargo che facevano la spola – durante la Seconda guerra mondiale – tra i paesi alleati e i porti del Belgio e dell’Olanda. I rischi per l’ambiente, inoltre, possono essere elevati, abbastanza perché lo stesso Parlamento Europeo incoraggi un programma di mappatura e monitoraggio.
Riferimenti: Journal of Archaeological Science doi: 10.1016/j.jas.2015.11.006