Testare la gravità quantistica, una delle teorie di frontiera della fisica moderna: un’impresa che sembrava fino ad oggi del tutto impossibile. Ora invece, una collaborazione internazionale tra il gruppo di Caslav Brukner e Markus Aspelmeyer dell’Università di Vienna e quello di Myungshik Kim dell’Imperial College di Londra ha ideato un esperimento in grado testare alcune predizioni fatte da questa teoria. I risultati di questo studio sono pubblicati su Nature Physics.
Le teorie di gravità quantistica (ce n’è più di una infatti) nascono dall’esigenza di riuscire a coniugare i due pilastri della fisica dell’ultimo secolo, la teoria della relatività generale di Einstein e la meccanica quantistica, e la loro formulazione rappresenta oggi uno dei campi di ricerca d’avanguardia. Le teorie spiegano perfettamente i fenomeni per cui sono state concepite: la meccanica quantistica si occupa di quelli del mondo subatomico e delle particelle elementari (che avvengono su scale di lunghezza più che microscopiche); la relatività generale studia invece gli oggetti molto massivi, come le galassie e l’universo intero, che partecipano a fenomeni che avvengono su scale enormi. Essendo i due campi d’azione ben lontani, utilizzare l’una o l’altra teoria, a seconda della necessità, non ha mai creato problemi.
Ci sono però situazioni in cui sono necessarie entrambe, per esempio quando si è in presenza di fenomeni che coinvolgono oggetti molto massivi ma di dimensioni minuscole. E qui sorgono i problemi: per come sono state concepite le due teorie, non sono infatti utilizzabili insieme. La teoria della relatività generale si basa sulla concezione di uno spazio (spazio-tempo se vogliamo essere più precisi) regolare e quieto, che potremmo paragonare alla superficie di un lago calmo. Questa regolarità deve esserci per tutte le distanze che consideriamo, anche quelle piccolissime. Secondo la meccanica quantistica invece, proprio a queste distanze lo spazio comincia a divenire turbolento, una sorta di mare in tempesta.
La distanza (o scala) caratteristica a cui ci si aspetta che le due teorie debbano fondersi è detta lunghezza di Planck. Questa misura 1,6×10^(-35) metri: per avere un’idea di cosa significhi questo numero potremmo dire che se tale riferimento equivalesse a un metro, allora un atomo sarebbe grande come l’intero universo.
È possibile associare a questa scala anche la cosiddetta energia di Planck, di valore così elevato che il Large Hadron Collider, il più grande acceleratore di particelle mai costruito, ne può raggiungere solo una piccola frazione. Per sviluppare energie vicine a quelle di Planck, i fisici dovrebbero disporre di un acceleratore grande almeno come una galassia. Questa scala è anche descritta dalla massa di Planck, pari più o meno a quella di un granello di polvere e quindi molto più grande se comparata con quelle di singoli atomi: gli effetti quantistici sono considerati inosservabili per questa massa. Insomma, indagare i fenomeni che avvengono alla scala di Planck è dunque fuori dalla portata delle attuali tecnologie e per questo veniva finora considerato impossibile testare le predizioni delle teorie di gravità quantistica.
Il nuovo esperimento ideato mira però a sfruttare tecniche differenti da quelle impiegate negli acceleratori. Si basa su uno dei principi fondamentali della meccanica quantistica: il principio di indeterminazione di Heisenberg, secondo cui non è possibile misurare contemporaneamente la posizione e la velocità (più precisamente si parla di “impulso”, una grandezza comunque legata alla velocità) di una particella. Ovviamente lo possiamo fare per oggetti macroscopici: possiamo dire dove si trova un auto e a che velocità sta viaggiando, ma ciò non è più vero quando ci troviamo di fronte a fenomeni che avvengono a scale così piccole che gli effetti quantistici iniziano a farsi sentire. Inoltre, se misuriamo prima la posizione e poi la velocità o viceversa, otterremo risultati differenti.
Secondo i ricercatori, la chiave per testare la gravità quantistica sta proprio nella misura di questa differenza: la meccanica quantistica ne predice infatti un certo valore, ben noto e fisso, mentre le teorie di gravità quantistica, che prevedono una modifica del principio di indeterminazione, ne danno ognuna un valore diverso. Anche se questa discrepanza è minima, le attuali tecnologie dovrebbero essere in grado di rilevarla.
L’idea principale dell’esperimento è di sparare un fascio laser per quattro volte su uno “specchio” in movimento (che consiste in un corpo oscillante di massa paragonabile alla massa di Planck): i primi due spari servono a misurare prima la posizione e poi la velocità dell’oscillatore, gli altri due misurano invece prima la velocità e poi la posizione. In tale modo, grazie a queste tecniche di ottica quantistica, è possibile stimare con precisione la differenza tra la misura della posizione dopo quella della velocità e quella della velocità dopo la posizione. “Ogni deviazione dal risultato predetto dalla meccanica quantistica sarebbe davvero eccitante”, ha affermato Igor Pikovski, il primo autore dello studio, “ma anche qualora non fosse osservata alcuna deviazione, i risultati potrebbero essere utili nella ricerca di nuove teorie”.
Gli scienziati hanno dunque mostrato come sondare queste teorie ancora inesplorate in un laboratorio, senza la necessità di usare potenti acceleratori di particelle o di sfruttare rari eventi astrofisici.
Riferimento: doi:10.1038/nphys2262; Università di Vienna
Credit per l’immagine: Università di Vienna