Un’esplosione che in 15 secondi rilascia tanta energia quanta il Sole in 10 miliardi di anni. Una palla di fuoco che si espande a velocità che sfiorano quella della luce, raggiungendo in pochi mesi un diametro 85 volte più grande di quello del nostro Sistema Solare. Sembra l’apertura di un colossal di fantascienza, ma a volte la realtà supera la fantasia. Queste sono infatti le prime immagini di ciò che resta di un Gamma Ray Burst (Grb). Sono infatti ancora queste improvvise e potentissime esplosioni di raggi gamma provenienti dallo spazio a tenere banco sulle scene dell’astrofisica e dell’astronomia. Il fatto è che i Grb sono stati uno dei più fitti misteri dell’universo. Un mistero che ora comincia però a diradarsi. Grazie anche all’entrata in servizio del satellite italo-olandese Beppo Sax, si è appreso di più sul loro conto negli ultimi tre mesi che nei 30 anni precedenti.
Ci sono voluti tre mesi di osservazioni perché Dale Frail del National Radio Astronomy Observatory (New Mexico), e Shri Kulkarni, del California Institute of Technology (Caltech) potessero ricostruire nei dettagli lo sviluppo dell’esplosione gamma avvenuta l’8 maggio 1997. E i risultati, presentati sull’ultimo numero di Nature, hanno stupito perfino loro.
Gli scienziati hanno utilizzato i più potenti radiotelescopi della National Science Foundation degli Stati Uniti, il Very Large Array (Vla) e il Very Long Baseline Array (Vlba). Il 13 maggio Frail e i suoi collaboratori hanno registrato una forte emissione di energia a lunghezza d’onda radio proveniente dalla stessa zona di cielo in cui, sei giorni prima, il satellite BeppoSax aveva rivelato un Gamma Ray Burst. E qui è iniziata l’avventura.
Tre mesi di monitoraggio continuo della sorgente hanno permesso di calcolare le dimensioni, l’energia emessa e la velocità di espansione della “bolla” di gas originata dall’esplosione. Viaggiando all’85% della velocità della luce, oggi ha raggiunto un raggio di un decimo di anno luce, cioè circa 170 volte la distanza Sole-Plutone. Da questi valori è stato possibile risalire alla durata e all’energia rilasciata durante il Grb, di cui l’emissione radio è una debole eco: per una manciata di secondi il Gamma Ray Burst è stato un milione di volte più luminoso di una intera galassia. Nessun altro fenomeno conosciuto può emettere tali energie in così brevi intervalli di tempo. Nel frattempo, i radiotelescopi terrestri continuano a seguire la palla di fuoco che si è originata, e gli scienziati pensano che l’emissione radio calerà lentamente fino a scomparire “probabilmente entro un anno”, stando a quanto ha affermato Kulkarni del Caltech.
E si deve proprio al gruppo del Caltech e ai nuovi dati del telescopio spaziale Hubble un altro grosso passo avanti nello studio dei Gamma Ray Burst: la parola “fine” all’eterno dibattito sulla loro origine interna o esterna alla nostra galassia. Sempre sotto la guida di BeppoSax, infatti, è stato possibile utilizzare il telescopio più grande della Terra, a Mauna Kea nelle Hawaii, per identificare la sorgente ottica del Gamma Ray Burst e ricavarne la distanza. I calcoli del gruppo statunitense lo pongono a 7 miliardi di anni luce dalla Terra, e le recenti osservazioni del telescopio di Monte Palomar, unite a quelle radio, danno ulteriore conferma di questo risultato.
Ma, come si dice, “morto un Papa se ne fa un altro”. Non contenti di essere venuti a capo di un problema che da 30 anni li perseguita, gli scienziati sostengono che si è ben lontani dalla soluzione del rompicapo. Da quando, nel 1960, i Gamma Ray Burst sono stati scoperti per caso dai satelliti militari statunitensi, la ricerca ha fatto passi da gigante. Ora sappiamo infatti dove avvengono i Gamma Ray Burst. Ma la loro origine e la fisica che li governa rimangono ancora avvolte nel mistero. Tuttavia, Frail è certo che la strada è ancora lunga, ma le prossime osservazioni radio, specialmente quelle del Vlba che ha una elevata capacità di vedere i dettagli delle sorgenti, saranno fondamentali per discriminare fra i vari modelli teorici. Non ci resta che aspettare.