Si chiama Argus II, come Argo Panoptes, il mitico gigante greco dai cento occhi “che tutto vede”: è la protesi retinica, che, oltre a far distinguere i contorni di oggetti semplici, permetterà ai disabili visivi di leggere l’alfabeto dei non vedenti più rapidamente e senza far uso del supporto tattile. Lo dimostra uno studio pubblicato su Frontiers in Neuroprosthetics, che porta la firma di un gruppo di ricercatori della Second Sight, l’azienda che ha sviluppato e prodotto il dispositivo.
Il sistema Argus II, già sperimentato in vari paesi, è il primo dispositivo al mondo in grado di restituire parzialmente la visione alle persone colpite da malattie degenerative della vista, come la retinite pigmentosa. La protesi è costituita da una mini-telecamera montata su un paio di occhiali, un piccolo computer per elaborare le immagini, un’antenna e un apparato recettore installato direttamente sulla retina. E funziona più o meno così: le immagini riprese vengono digitalizzate, captate dall’antenna e inviate al microchip sulla retina, costituito da 60 elettrodi, disposti in una griglia 10 x 6. Il cervello riceve i segnali trasformati dal dispositivo in impulsi elettrici e trasmessi mediante il nervo ottico, ricavando percezioni di forme luminose. La protesi sopperisce così al cattivo funzionamento di coni e bastoncelli, le cellule che captano i segnali luminosi nell’occhio sano.
Stavolta i ricercatori hanno verificato la possibilità di inviare dati direttamente alla griglia di elettrodi, senza utilizzare né la telecamera, né supporti tattili, ma proiettando direttamente sul microchip i segnali dei caratteri dell’alfabeto Braille. Per provare cioè a leggere l’alfabeto dei non vedenti con l’occhio, solo attraverso la stimolazione degli elettrodi, anziché con l’aiuto del tatto. Per farlo hanno composto parole di quattro lettere, e dato al paziente un tempo di visione di mezzo secondo per carattere. Il soggetto coinvolto nell’esperimento ha individuato correttamente lettere singole con un’accuratezza dell’89%, e parole di 4 lettere nel 70% dei casi.
Dopo aver ottenuto il marchio CE, per la commercializzazione in Europa, e dopo il primo impianto non sperimentale, effettuato presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria di Pisa, la società produttrice sta testando ora tutte le potenzialità di questo strumento.
Riferimenti: Frontiers in Neuroprosthetics Doi:10.3389/fnins.2012.00168
Credits immagine: Second Sight