di Nicola Stanzione
Le vie di trasmissione sono note: in caso di influenza, bastano goccioline di saliva emesse con uno sternuto o altre secrezioni respiratorie per dare il via al contagio. Ora però uno studio mostra come anche patologie di diversa natura, come la malattia di Alzheimer, si diffondano nel cervello con una dinamica del tutto paragonabile a quella con cui un agente patogeno provoca un’infezione. In un articolo pubblicato su Brain, infatti, alcuni ricercatori dell’Università di Cambridge hanno dimostrato la capacità delle proteine tau, ritenute insieme alla beta amiloide tra le principali responsabili dell’Alzheimer, di compiere movimenti “transneuronali”, mettendo in evidenza come le aree cerebrali maggiormente connesse tra loro fossero anche quelle più sensibili a sviluppare la malattia.
Per le sue caratteristiche, l’Alzheimer è una delle malattie a più grave impatto sociale nel mondo, interessando oltre 47 milioni di persone, al momento priva di una cura realmente efficace per debellarla. Sebbene le cause non siano state ancora pienamente comprese, la ricerca indica che questa malattia sia strettamente associata alla formazione di ammassi neurofibrillari che, depositandosi tra i neuroni, formano dei grovigli che ne determinano la distruzione. Le proteine tau, in particolare, si insinuano all’interno delle cellule e le soffocano, annullando la loro capacità di comunicare tra loro e causando di conseguenza una progressiva e vertiginosa perdita della memoria.
Il team di ricerca inglese, nel tentativo di comprendere come avvenisse questo processo neurodegenerativo, ha preso in analisi il cervello di 17 pazienti con Alzheimer, sottoponendolo a due tecniche combinate di imaging cerebrale: con la risonanza magnetica funzionale (fMRI) hanno misurato il flusso sanguigno nel cervello, quindi il grado di connessione tra diverse aree cerebrali separate tra loro, mentre con la tomografia a emissione di positroni (PET) hanno mappato l’accumulo di tau e la sua distribuzione nel cervello. In questo modo si è potuto dimostrare che le proteine tau si propagano a macchia d’olio come l’influenza durante un’epidemia. “Questo fenomeno non era mai stato osservato nel cervello umano” ha dichiarato Thomas Cope, uno degli autori dello studio, “Abbiamo esaminato pazienti con differente stato di avanzamento della malattia e ci siamo accorti che, quando la concentrazione di tau era più alta, le aree cerebrali erano nel complesso meno collegate e le connessioni diventavano sempre più deboli e casuali”.
Si tratta di una scoperta importante, perché apre nuovi scenari nel campo della ricerca scientifica e nella progettazioni di farmaci in grado di attaccare i neuroni malati prima che tau possa diffondersi e contagiare quelli sani. Tuttavia lo studio non è privo di limiti, primo tra tutti la piccola dimensione del campione e il breve arco di tempo con cui i pazienti sono stati esaminati.
Riferimenti: Brain
Articolo prodotto in collaborazione con il Master SGP di Sapienza Università di Roma