Uno strano poker di pianeti

Un sistema planetario enigmatico. Anzi, sconcertante, perché mette in crisi i due modelli di formazione di pianeti utilizzati finora dagli astronomi. A spiegarcene il motivo dalle pagine di Nature è un gruppo di ricercatori dell’Herzberg Institute of Astrophysics di Victoria (British Columbia). Coordinati dal ricercatore Christian Marois, gli scienziati canadesi hanno infatti scoperto un quarto pianeta gigante intorno alla stella HR 8799, a circa 118 anni luce da noi, nella costellazione di Pegaso. Si tratta davvero di un curioso “poker” di pianeti, perché al momento non c’è alcuna teoria in grado di spiegarne la nascita. I primi tre sono stati scoperti due anni fa dallo stesso Marois, e il quarto è stato individuato analizzando immagini infrarosse riprese di recente all’Osservatorio Keck II.

La ricerca di pianeti extrasolari è un campo di relativamente giovane ma estremamente promettente: in soli 15 dalla scoperta del primo, oggi ne conosciamo più di 500. La maggior parte di essi viene individuata in maniera indiretta, per esempio misurando le perturbazioni gravitazionali indotte sulla stella principale, oppure osservando la diminuzione di luce della stella quando il pianeta le transita davanti. In pochi casi, come per il sistema di HR 8799, è stato invece possibile osservare direttamente i pianeti. In questo caso, infatti, i corpi sono molto distanti dalla stella, più di 25 volte la distanza media Terra-Sole (da 15 a 70 volte il raggio terrestre). Inoltre si tratta di pianeti giovani, con meno di 100 milioni di anni, e sono quindi ancora molto caldi e brillanti perché stanno irradiando nello Spazio l’energia gravitazionale acquisita durante la loro recente formazione. 

Principalmente esistono due meccanismi proposti per la formazione di pianeti. In un primo modello (core accretion), la formazione procede attraverso due fasi, dapprima un accrescimento su un nucleo e poi un successivo deposito di materiale più esterno, principalmente idrogeno e elio. In base a un modello alternativo, la formazione avviene in un singolo passaggio, cioè dalla frammentazione di una nube di gas e polveri (disc instability). Studiando la formazione di questo sistema planetario attraverso simulazioni, i ricercatori hanno scoperto che questi meccanismi di formazione non possono produrre un sistema planetario gravitazionalmente stabile e che riproduca le caratteristiche osservate. Una possibilità è che i pianeti si siano formati grazie ad un sistema “ibrido” o, piuttosto, che siano migrati nella loro posizione attuale. 

“Il modello principale, detto core accretion, spiega bene i pianeti che orbitano a una distanza dalla loro stella pari a quella Saturno-Sole”, dice a Galileo Raffaele Gratton, planetologo dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Padova: “Già, quindi, facciamo fatica a spiegare la  posizione  di Urano e Nettuno; a distanze come quelle osservate per il nuovo sistema, il modello non è certamente applicabile. Il secondo meccanismo – sostenuto da una minoranza di astronomi – ammette la formazione di massimo uno, due pianeti a quelle distanze, non certo quattro. Non è la prima vota che ci troviamo di fronte a questa incongruità: evidentemente, qualcosa nei nostri modelli deve essere cambiato. Il difficile, ora, è capire cosa”.

Riferimento: DOI: 10.1038/nature09684

Credits immagine: LLNL & Q. M. Konopacky

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