Arbitri stranieri per valutare la ricerca italiana. Un’idea che da più parti si fa avanti. Tanto che il Ministero della Salute l’8 settembre scorso ha depositato presso il Consiglio dei Ministri una bozza di decreto ministeriale che affida la scelta dei direttori scientifici degli Ircss a una commissione tra cui potranno sedere anche esperti stranieri. Dopo le polemiche agostane sulla sostituzione di Francesco Cognetti alla guida dell’Istituto Regina Elena – decisione contestata dall’oncologo che è ricorso prima al Tar, che gli ha dato torto, e quindi al Consiglio di Stato che ha invece accolto le ragioni del medico reintegrandolo – Livia Turco ha quindi deciso di rinunciare ai poteri che la legge sul riordino degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico del 2003 le garantiva. E di istituire una commissione di dieci membri che dovrà scegliere fra i candidati e presentare tre nomi fra cui poi il ministro sceglierà.
Ma anche dalle parti del Ministero della Ricerca Scientifica e dell’Università l’idea di un organo super partes che valuti la produzione scientifica di università, enti e laboratori per poi decidere chi merita e chi no, sembra essere ben vista. “Il ministro Mussi si è detto d’accordo”, ha raccontato Rita Levi Montalcini durante l’incontro “Arbitri stranieri per la ricerca biomedica italiana”, organizzato dal consorzio Progen lo scorso 12 settembre presso il Centro Europeo di Ricerca sul Cervello di Roma. “Il nostro capitale umano è straordinario e, se solo potessimo avvalerci di criteri imparziali per affidare i finanziamenti, la nostra ricerca potrebbe sicuramente essere alla pari di quella degli Stati Uniti, della Gran Bretagna o della Germania”.
D’altronde il “controllo dei pari” è il metodo più usato al mondo per la valutazione della qualità della ricerca e l’assegnazione dei fondi: sulla base del giudizio, autonomo e anonimo, degli esperti l’ente erogatore decide di finanziare o meno i progetti. E il fatto che finora non sia stato praticamente mai usato da parte degli organi ministeriali che elargiscono i fondi può in parte spiegare i problemi della ricerca scientifica italiana, i ritardi che il paese ha accumulato in termini di pubblicazioni scientifiche e brevetti, tanto per fare degli esempi. Ma “senza ricerca e innovazione il Paese è destinato a soccombere”, ha ammonito Serafino Zucchelli, sottosegretario alla ricerca del Ministero della Salute.
L’Agenzia per la valutazione della ricerca è quindi alle porte? “Finalmente anche nelle università comincia a sgretolarsi il muro di paura nei confronti del giudizio di terzi e si percepisce la valutazione come valore aggiunto”, ha spiegato durante l’incontro romano Jacopo Meldolesi, presidente della Federazione Italiana Science della Vita. Alcuni dipartimenti dell’Università di Padova, per esempio, si sono fatti valutare da un panel di cinque persone, di cui quattro straniere; quella di Bologna inizierà quest’anno con tre persone, di cui due straniere. Ma perché è così importante chiamare dei ricercatori stranieri? “E’ la regola in Europa e nel mondo; l’idea è che si chiamano scienziati di chiara fama, il cui giudizio sia considerato importante dall’intera comunità”, continua Meldolesi.
Per passare dalle prove di buona volontà alla sistematicità della valutazione, svolta con criteri comuni, c’è però bisogno di un coordinamento istituzionale. L’Agenzia, appunto, o come la si voglia chiamare. Un unico ente che raccolga su di sé i poteri che oggi hanno diversi uffici di svariate istituzioni? E tutti i soldi destinati alla ricerca, poi, andrebbero in un unico grande portafoglio? L’idea, per quanto intuitiva, si scontra con resistenze politiche. A diverso titolo, infatti, sono molti i Ministeri che gestiscono fondi per la ricerca; non solo il Miur o quello della Salute, ma anche quello degli Interni, degli Esteri, del Lavoro. Meglio allora, suggerisce Zucchelli, pensare di coordinare tutti coloro che, all’interno delle diverse istituzioni, sono già chiamati a valutare le proposte di progetti di ricerca sulla base di regole condivise.
Anche ammesso di trovare una forma giuridica e politica per l’agenzia per la valutazione, lo scoglio più duro da superare sembra però essere quello culturale, della mentalità di chi fa ricerca e di chi la gestisce. “Nel sistema sanitario nazionale”, sottolinea Zucchelli, “lo strumento di legge che permette di valutare l’operato dei primari o dei direttori scientifici di ospedali e Ircss esiste dal 1992; ma sono veramente pochi i casi in cui i medici non produttivi vengono rimossi dai loro incarichi”. Non basta quindi avere delle regole per la valutazione, bisogna saperle e volerle usare.