In Italia esistono delle leggi a tutela dei congedi familiari e della maternità. Peccato che non vengano bene interpretate o che manchino di fatto gli strumenti per attuarle. Le donne lavoratrici sono quindi di fatto penalizzate e si trovano a dover operare delle scelte che mettono in contrapposizione vita personale e vita lavorativa. Il mondo della ricerca non fa eccezione, come dimostrano i bandi emanati dall’ANVUR e i bandi di concorso accademici, dove l’impatto della maternità nelle carriere di ricerca è ampiamente sottostimato. Risultato: l’interruzione del proprio lavoro a causa della maternità non viene in alcun modo contabilizzato e risulta quindi tempo “perso”. Di questa discriminazione e di come agire per cercare di sanarla si è parlato durante il convegno annuale dell’Associazione Donne e Scienza che si è tenuto nei giorni scorsi a Roma. La richiesta che è arrivata forte dalle ricercatrici è quella di istituire un tavolo di discussione con il MIUR, l’ANVUR, i rappresentanti dei CUG e dei principali stakeholder delle università e dei centri di ricerca italiani, per studiare e implementare delle misure concrete per introdurre una effettiva equità di genere nella valutazione della ricerca. Una richiesta formalizzata con una lettera a firma dell’Associazione e dell’Osservatorio di Genere sull’Università e la Ricerca dell’Università degli Studi di Napoli Federico II inviata oggi alla Sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio On. Maria Elena Boschi, alla Ministra dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca On. Valeria Fedeli e alla Vice Ministro al Ministero dello sviluppo economico On. Teresa Bellanova.
La penalizzazione delle ricercatrici italiane è in palese contrasto con le indicazioni europee per la valutazione dell’attività di ricerca che suggeriscono una considerazione realistica dell’impatto delle gravidanze e della cura di un bambino sulla produttività scientifica di una donna. I bandi ERC (European Research Council) prevedono, ad esempio, un allungamento dell’età accademica pari a 18 mesi per ciascun figlio, andando quindi ben oltre i 5 mesi di congedo obbligatorio per maternità.
Fra gli esempi concreti di intervento proposti dalle ricercatrici non c’è solo una valutazione adeguata della maternità e dei congedi parentali, ma anche la formazione dei commissari e delle commissarie di concorso sulle questioni di genere nella ricerca e nell’accademia e l’introduzione nella valutazione degli Atenei, delle performance dei Dipartimenti e dei carichi istituzionali dei singoli ricercatori di indicatori relativi al tempo e all’impegno speso nell’attuazione di politiche e azioni per la gender equality (come programmi di mentoring, gender budgeting, Gender Equality Plan ecc).