Cervelli artificiali, macchine intelligenti, robot biologici: le nuove frontiere della tecnologia promettono cyborg in grado di interagire con l’uomo, di imparare dall’esperienza, persino di provare sentimenti ed emozioni. Ma allora, avrà ancora senso in futuro parlare di differenza fra intelligenza naturale e artificiale? A questo ed altri interrogativi sollevati dai progressi delle scienze connesse all’IA hanno cercato di dare risposta filosofi, neurobiologi e matematici di diverse nazionalità intervenuti al Convegno “Argonauti nella Noosfera”, organizzato in tre giornate di studi – dal 16 al 18 ottobre a Rimini – dalla Fondazione Piò Manzù.
Intelligenza naturale vs Intelligenza artificiale
Marvin Minsky, docente di ingegneria informatica al Massachusetts Institute of Technology di Boston e tra i padri dell’intelligenza artificiale, è assolutamente convinto che fra due generazioni i computer avranno acquisito una versatilità e una flessibilità tali da renderli confrontabili con la mente umana. Secondo lo scienziato è solo questione di tempo e in un futuro nemmeno troppo remoto le macchine saranno in grado di superare l’uomo. A chi gli obietta che allo stato attuale il computer non ha ancora sviluppato capacità creative e non è dunque in grado di dare vita a soluzioni totalmente originali, risponde che questo dipende solo dal fatto che la macchina non ha ancora raggiunto un grado di complessità tale da poter competere con la struttura multiforme del cervello umano.
Non la pensa così Roger Penrose, docente di matematica dell’Università di Oxford. La sua opinione è che nessun modello “computabile” – cioè né la fisica classica, né la scienza dei calcolatori, né le neuroscienze – può riprodurre le facoltà creative e intuitive della mente. Evidentemente l’intelligenza dell’uomo trae le proprie potenzialità da qualche fenomeno più sfuggente, probabilmente correlato con la meccanica quantistica. Impossibile per ora, dunque, parlare di “macchine pensanti”. Del resto Penrose lo aveva già spiegato con chiarezza nel suo libro “La mente nuova dell’imperatore”, confutando la tesi dei fautori dell’intelligenza artificiale sulla capacità dei calcolatori di riprodurre tutti gli attributi degli esseri umani, compresa la coscienza. E con lui è d’accordo anche il premio Nobel Gerald Edelman, padre del darwinismo neurale. Con la sua teoria delle reti neurali ha spiegato la complessità della mente attraverso la tesi evoluzionista. Edelman è infatti convinto che ancora non si possa immaginare una macchina in grado di eguagliare l’uomo. “Per pensare”, afferma Edelman, “ci deve essere coscienza della propria attività intellettuale. E questo richiede un processo soggettivo e personale. Ciascuno di noi sperimenta cosa sia effettivamente la coscienza, ma da un punto di vista strettamente scientifico ancora non possiamo dire di conoscerla”.
Sacks: un campo inesplorato, la creatività
Lasciamo allora da parte la coscienza, e preoccupiamoci di quella parte oscura e misteriosa della mente che è l’inconscio cognitivo. Già perché proprio nei segreti meandri della vita intellettuale di ogni individuo risiede, secondo il celebre neurologo inglese Oliver Sacks, la più sorprendente capacità umana, che è quella artistica e creativa. “In questo convegno si è parlato molto di coscienza in relazione con i meccanismo del cervello. Ma c’è un aspetto che rimane ancora totalmente inesplorato: la creatività”. Così, la capacità dell’uomo di dare vita a forme ed espressioni totalmente originali rimane inesplorata in termini di processi cerebrali. Anche se rappresenta un campo di ricerca molto stimolante, soprattutto se si considera che ci sono una varietà di condizioni neurologiche che possono aumentare la creatività o inibirla o addirittura distorcerla.
“Al momento”, prosegue ancora Sacks, “ci dobbiamo accontentare delle descrizioni e delle analisi fornite dai cosiddetti “creativi” e dagli psicologi. Del resto la letteratura è ricca di descrizioni interessanti di artisti, scienziati e matematici sulle proprie esperienze creative”. E cita, come casi esemplari, la scoperta delle funzioni fuchsiane di Henry Poincaré e quella della classificazione degli elementi nel sistema periodico di Mendeleev. Se si analizzano questi casi, spiega l’autore di “Risvegli”, ci si rende conto che si tratta di fenomeni dai quali emergono elementi comuni che ci consentono addirittura di individuare tre fasi del processo creativo: un primo momento di intensa concentrazione sul soggetto, un secondo periodo di apparente oblio, durante il quale invece è presente una forte attività di rielaborazione con le proprie esperienze personali, e infine una fase che corrisponde alla comparsa improvvisa ed esplosiva – spesso durante un sogno – dell’intuizione creativa che si accompagna a una sensazione davvero straordinaria di movimento e di vivacità intellettuale.
“La possibilità che emergano idee totalmente nuove e imprevedibili”, ha quindi concluso Sacks, “è strettamente connessa con il sistema nervoso umano. La natura di questa misteriosa creatività – che è difficile da configurare o da immaginare in termini computazionali – rappresenta un fenomeno affascinante e tutto da indagare se vogliamo scoprire i processi cerebrali che lo rendono possibile”.