I nostri telefoni somigliano sempre più a mini pc. Bene, ma avere a portata di taschino tutta una serie di applicazioni software ha un costo: quello di esporre i cellulari agli attacchi dei virus informatici. E con la timida comparsa di questa minaccia, sono arrivati anche i primi studi epidemiologici. Ne è un esempio la ricerca pubblicata su Science da Pu Wang, Albert-László Barabási ed altri ricercatori del Center for Complex Network Research della Northeastern University di Boston (Usa).
Grazie alla cooperazione di un gestore telefonico, gli studiosi hanno per prima cosa creato un modello matematico in grado di descrivere la rete di chiamate e la posizione relativa dei telefoni cellulari di oltre sei milioni di utenti. Quindi hanno ricavato indicazioni sulle modalità di diffusione di due grandi categorie di virus per telefoni mobili: quelli che si diffondono via Bluetooth e quelli che sfruttano gli Mms. Le differenze sono risultate sostanziali: nel caso del Bluetooth, potendo il virus trasmettersi solo entro un raggio di 10-30 metri, la diffusione dell’infezione risulta localizzata nello spazio, proprio come avviene, per fare un parallelo con nostra malattia virale, nel caso della Sars o di Ebola. Al contrario, i virus che si diffondo via Mms hanno bisogno solo di un paio di minuti per duplicarsi e raggiungere tutti i contatti presenti nella rubrica. Se dunque nel caso del contagio via Bluetooth esiste il tempo tecnico per sviluppare adeguati software antivirus, molto più difficile è rispondere a una epidemia via Mms.
Secondo i ricercatori, se ancora non è stata osservata un’ampia diffusione di questi virus è soprattutto per via della frammentazione del mercato. In altri termini, gli Smartphone in grado di gestire sistemi operativi complessi non sono ancora abbastanza popolari: quando il numero di queste apparecchiature supererà una soglia critica, ipotizzano i ricercatori, si verificheranno le prime importanti epidemie di virus per telefoni mobili.
I risultati, più che suggerire attenzione al presente, impongono dunque una certa cautela sul futuro. Se infatti la mancanza di standard per i software ha per ora limitato il numero dei contagi dei programmi malicious, l’inevitabile prossima diffusione di dispositivi in grado di condividere un grande numero di applicazioni sembra destinata a cambiare questo scenario. (l.c.)
Riferimento: 10.1126/science.1167053