L’immunologia è una branca difficile. E ecco che da un giorno all’altro ciò che si credeva di sapere potrebbe essere rimesso in discussione. Un esempio è la ricerca da poco pubblicata su Plos Pathogens da un team di ricercatori dell’Università di Zurigo, che investigando sul ruolo di una precisa popolazione di cellule del sistema immunitario – i linfociti CD8+- durante le infezioni da virus di Epstein-Barr (sì, proprio quello della mononucleosi) hanno osservato qualcosa di inatteso: bloccare il meccanismo inibitorio della proteina PD-1, invece di potenziare la risposta immunitaria, fa perdere il controllo sull’infezione. Secondo i ricercatori questa proteina aiuta a tenere sotto controllo il virus di Epstein-Barr, e bloccarla, come fanno alcuni trattamenti immunoterapici, potrebbe avere effetti collaterali finora sconosciuti.
Il virus Epstein-Barr
Scoperto nel 1964, il virus Epstein-Barr (Ebv) è un herpesvirus, uno dei patogeni umani più diffusi al mondo. Basti pensare che si stima che il 90% della popolazione mondiale lo contragga prima dei 20 anni – e nei Paesi in via di sviluppo la maggior parte delle infezioni si verifica prima dei 2 anni di età. Si trasmette con la saliva e le secrezioni genitali, e nella stragrande maggioranza dei casi non dà sintomi se non quelli di un raffreddore o una lieve influenza. Insomma, rinite e mal di gola. In alcuni casi però, soprattutto dopo l’infanzia, l’infezione è più grave e dà origine alla mononucleosi.
Tutte le malattie da Ebv oltre la monucleosi
Purtroppo Ebv può essere tutt’altro che innocuo. Oltre alla mononucleosi, è responsabile di diverse altre malattie dell’essere umano, tra cui alcune forme tumorali come il Linfoma di Burkitt e il linfoma di Hodgkin
Sclerosi multipla: sì, c’è un legame con il virus della mononucleosi
E anche se si sta cercando di saperne di più, è probabile che l’attività del virus interferisca anche con siti sensibili del genoma umano, aumentando il rischio di sviluppare patologie come il lupus eritematoso sistemico o la sclerosi multipla.
La proteina che controlla il virus Epstein-Barr
Una volta contratto, non ci si libera più di Ebv, che in genere entra in una fase di latenza all’interno delle cellule (i linfociti B) che ha infettato: tenuto sotto controllo e reso permanentemente inoffensivo dal sistema immunitario. Il meccanismo con cui questo accade nell’essere umano, però, è ancora poco chiaro.
Per cercare di colmare questa lacuna, i ricercatori dell’Università di Zurigo hanno studiato le caratteristiche delle cellule T CD8+ del sistema immunitario sia di pazienti sia di modelli murini con mononucleosi infettiva attiva. Gli scienziati hanno constatato che questa popolazione cellulare esprime in quantità una particolare proteina detta PD-1, che è un noto recettore che induce un segnale inibitorio della reazione immunitaria. Ciò significa che quando PD-1 viene attivato dovrebbe spegnere la cellula immunitaria.
I risultati del gruppo svizzero, però, mostrano che queste cellule ricche in PD-1 non sono inibite: continuano a produrre molecole infiammatorie (citochine, chemochine), a uccidere le cellule infette e a proliferare. E la cosa ancor più interessante è che se si prova a bloccare la via inibitoria di PD-1, il sistema immunitario perde il controllo del virus Epstein-Barr, aumentando le probabilità di sviluppare tumori indotti.
PD-1, dunque, potrebbe svolgere un ruolo chiave nel tenere sotto controllo le infezioni latenti. Un’evidenza che, se confermata, dovrà essere presa in considerazione dai clinici: la via di segnalazione della proteina PD-1, infatti, oggi è molto sfruttata per potenziare il sistema immunitario contro diverse forme di cancro, ma potrebbe avere effetti collaterali inattesi.
“Sebbene il blocco del checkpoint immunitario costituisca un importante passo avanti nella terapia del cancro”, ha commentato Bithi Chatterjee, che ha condotto in prima persona la ricerca, “i nostri risultati suggeriscono che la riattivazione delle infezioni virali persistenti dovrebbe essere monitorata come possibile effetto collaterale durante il trattamento anti-PD-1“.
Riferimenti: Plos Pathogens