Qual è la durata massima della vita?

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(Foto via Pixabay)

C’è un limite di età oltre il quale è impossibile sopravvivere? È la domanda che si sono posti gli autori di uno studio pubblicato su Science, di cui Elisabetta Barbi, del dipartimento di scienze statistiche dell’Università Sapienza di Roma, è prima autrice. Analizzando per la prima volta un numero ampio e molto preciso di dati sugli ultracentenari in Italiai ricercatori hanno potuto dimostrare con accuratezza che il rischio di mortalità, in aumento fino agli 80 anni, successivamente rallenta, fino a raggiungere una fase stabile. È il primo studio che afferma con precisione questo andamento, dimostrando che al momento non sappiamo se esista un limite alla durata massima della vita. Ma c’è di più, secondo i ricercatori: anche qualora questo limite esistesse si troverebbe ben oltre i record raggiunti da ultracentenari in giro per il mondo.  

I ricercatori hanno analizzato i dati, collezionati dall’ISTAT tra il 2009 e il 2015, di 3836 persone che hanno raggiunto o superato i 105 anni di età. Lo studio comprende 15 gruppi di nascita, uno per anno dal 1896 al 1910. “I risultati indicano che i tassi di mortalità, che aumentano esponenzialmente fino a circa 80 anni, decelerano e raggiungono un punto di stabilità (plateau, nda) dopo i 105 anni, riflettendo l’andamento osservato in diverse specie animali. L’aumento delle aspettative di vita, e il fatto che la mortalità dopo i 105 anni decresca, suggerisce che la longevità sia in continuo aumento” spiega Barbi a Galileo.

Lo studio della longevità interessa gli studiosi da molti anni: il primo modello proposto per spiegare l’andamento della mortalità nel corso della vita umana risale infatti al 1825, il modello di Gompertz. Questo modello, che mostrava un aumento esponenziale del rischio di morte con l’avanzare dell’età, si basava però su pochi dati, sia perché al tempo vi erano poche persone che raggiungevano età avanzate, sia perché era difficile raccogliere dati affidabili. Nel corso degli anni gli studiosi, infatti, notarono degli spostamenti dei dati dalla curva di Gompertz, che indicavano una stabilizzazione del rischio di morte, ma questi rallentamenti venivano attribuiti a delle distorsioni nelle analisi. “Il problema non stava solo nella mancanza di dati, ma anche nel fatto che, chi sopravvive oltre una certa età ha caratteristiche genetiche e strutturali, come ad esempio essere cresciuto in un ambiente più salubre, che ne permettono una sopravvivenza maggiore, e questo è un elemento confondente”, spiega Barbi.

Il fatto che dai dati emergesse un rallentamento del rischio di morte in età avanzate era però in accordo con quanto osservato in altre specie, come il moscerino della frutta o i lieviti, lasciando quindi aperto il dibattito su quale fosse la forma della curva di mortalità negli umani. È così emersa la necessità di formare un gruppo di ricerca internazionale che si occupasse di collezionare, analizzare, e controllare meticolosamente i dati sulle persone che raggiungono i 110 anni di età (i supercentenari) in 15 paesi, fra cui l’Italia. È nato quindi il database internazionale sulla longevità (IDL) del Max Planck Institute per la ricerca demografica, aggiornato nel 2010, che è il risultato di un lavoro di raccolta durato dieci anni.

Anche in questo caso, però, c’erano dei problemi di analisi: sebbene i dati raccolti fossero altamente certificati, quindi affidabili, erano troppo pochi per permettere dei solidi studi statistici. “Un problema fondamentale è che, essendo poche le persone oltre una certa età, per permetterne un’analisi statistica venivano aggregate in corti di nascita, ovvero per anno o addirittura per 5 anni, introducendo così delle distorsioni nelle analisi”, spiega Barbi. Quindi, diversi studi che hanno analizzato i dati dell’IDL, con modelli diversi, hanno riportato risultati in disaccordo tra loro riguardo l’esistenza di un plateau in età molto avanzate. “È qui che è entrata in gioco l’Italia, a cui va riconosciuto di essere all’avanguardia con i sistemi di registrazione statistici: l’ISTAT ha creato un team di lavoro di ricerca che si dedica alla validazione dei dati degli ultracentenari, ed è un progetto continuo nel tempo”, afferma Barbi. È da questi dati che è partito lo studio del team italiano: quelli disponibili sono molti di più, in quanto sono state incluse le persone dai 105 anni in poi, invece che dai 110 come nel lavoro precedente dell’IDL. Questo scalino ha permesso un notevole aumento del campione, da centinaia a migliaia di individui. Inoltre i ricercatori hanno calcolato le probabilità di morte giorno per giorno e a livello individuale, mentre prima veniva calcolata su periodi di un anno o addirittura di cinque anni. Un’analisi possibile proprio grazie alla maggiore quantità di dati.

Ma come si spiega la decrescita del tasso di mortalità? Un contributo fondamentale va attribuito all’impatto della selezione naturale nelle popolazioni. Inoltre, l’alta qualità delle cure per gli ultracentenari potrebbe contribuire a mitigare l’aumento di mortalità. Ci sono poi delle teorie evoluzionistiche di senescenza, che offrono delle possibili spiegazioni di entrambe le fasi, esponenziali e di plateau. “Avevamo due obiettivi con questo studio”, conclude Barbi, “il primo era di rispondere una volta per tutte alla domanda su che forma avesse la curva di mortalità. Non solo per curiosità scientifica, ma per avere poi la chiarezza necessaria ad analizzare le cause che portano a questi meccanismi nelle ultime fasi dell’esistenza. Il secondo obiettivo era capire se c’è un limite alla durata della vita, e abbiamo capito che, se c’è, certamente non lo vediamo”.

Riferimenti: Science

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