Da più di due mesi la nostra vita quotidiana ruota intorno alle informazioni sul coronavirus e sulla pandemia di Covid-19. Le notizie – e le bufale – sono tante e a volte è difficile, non solo per il pubblico generale, ma anche per gli scienziati, capire quanto si debba dare credito a informazioni basate su ipotesi ancora da provare. Questo è anche il caso dell’ipotesi – ipotesi appunto – che la vitamina D abbia un ruolo protettivo contro il coronavirus. Il ministero della Salute ha inserito la notizia fra le 65 più diffuse bufale (qui l’elenco, la vitamina D al numero 40). Questo perché, spiega il ministero, non ci sono prove scientifiche che dimostrino questo ruolo. E lo stesso vale per la vitamina C, sempre in questa lista di fake news.
Oggi, però, qualcosa sembra cambiare, dato che uno studio condotto dalla Northwestern University mostrerebbe una potenziale associazione fra livelli più alti di vitamina D e un ridotto tasso di letalità di Covid-19, cioè la presenza infezioni meno gravi. Quando si parla di livelli più alti si intende normali, quando cioè non c’è una carenza di vitamina D, che invece è una condizione frequente nella popolazione generale.
Lo studio fornisce dei primi dati interessanti, che dovrà però essere supportato da altre prove. La ricerca non è ancora peer reviewed ma è disponibile in preprint su medrxiv. I risultati potrebbero aprire nuove strade di ricerca per capire meglio qual è il collegamento fra vitamina D e infiammazione nell’infezione Covid-19 e scoprire anche qualcosa in più sulla malattia. Vediamo cosa dice lo studio e come interpretare i risultati.
Lo studio
Gli scienziati hanno raccolto e analizzato i dati di migliaia di casi accertati di Covid-19 di pazienti in diversi paesi (fra cui Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Spagna, Svizzera) alla data del 20 aprile 2020. Hanno poi calcolato il tasso di letalità, elemento molto discusso dagli scienziati dato che provvisorio, facendo il rapporto fra decessi e casi totali.
Gli autori hanno poi studiato un modo per mettere in relazione i livelli della vitamina D con queste infezioni: nell’articolo, infatti, specificano in maniera chiara che comprensibilmente non sono in possesso delle informazioni sulla vitamina D nei pazienti malati di Covid-19. Per questo, in sostituzione, hanno utilizzato i livelli della Pcr (proteina c reattiva, indice di infiammazione che si alza anche nel coronavirus) nei malati. Questo perché, come spiegano nel paper, in passato gli studi scientifici hanno dimostrato che c’è una relazione fra la quantità di vitamina D nel sangue e il valore della Pcr. Tuttavia, non avere i valori della vitamina D e basarsi su ricerche precedenti è un “limite importante” dello studio, come scrivono gli autori stessi nella discussione dei risultati. Anche per questo per provare e poter dire che la vitamina D ha effettivamente un ruolo saranno necessarie altre ricerche.
I risultati
Tornando allo studio, dall’analisi svolta emerge che la vitamina D potrebbe avere un ruolo, perché il rischio di avere un’infezione Covid-19 grave fra chi ha una carenza rilevante di questo componente è del 17,3% contro il 14,6% di chi ha livelli normali della vitamina D – che corrisponde a una riduzione del rischio di una forma di Covid-19 grave del 16% circa. Dunque non eviterebbe il contagio ma ridurrebbe la gravità dei sintomi.
Vitamina D e sistema immunitario
I risultati, dunque, mostrano che è possibile immaginare la presenza di un qualche legame. I ricercatori hanno provato a comprendere meglio i meccanismi sottostanti, basandosi su diversi studi precedenti. L’anello di congiunzione fra vitamina D e le infezioni più lievi è da rintracciare nel sistema immunitario, secondo gli autori. Nei malati gravi, infatti, il sistema immunitario fortemente in allarme e diventato iper-reattivo produce la cosiddetta cascata delle citochine (di cui abbiamo già parlato), proteine che scatenano una forte risposta infiammatoria e che nei pazienti ricoverati con Covid-19 risultano elevate. Questa cascata di citochine – dunque l’infiammazione – sembra essere uno degli elementi principali che contribuiscono a rendere grave e potenzialmente fatale la malattia. Secondo gli autori, la vitamina D eviterebbe che il sistema immunitario diventi iper-reattivo (e produca un danno superiore al vantaggio), aiutando a regolare i livelli delle citochine e dunque l’infiammazione. Inoltre, potrebbe anche potenziare la risposta immunitaria cosiddetta innata che sembra proteggerci e attenuare infezioni causate da vari patogeni.
Per noi: come interpretare la notizia
I risultati sono di interesse ma sono ancora preliminari, dato che basati su un’indagine statistica e su parametri (come il tasso di letalità) ancora da confermare. “Nonostante io ritenga che sia importante per le persone sapere che una carenza di vitamina D potrebbe avere un ruolo nella mortalità, non dobbiamo somministrare vitamina D a tutti”, ha affermato Vadim Backman, che ha coordinato lo studio. “Questo richiede altri studi e la speranza è che il nostro lavoro stimoli l’interesse verso questo settore. I dati possono anche chiarire il meccanismo legato alla letalità, che, se dimostrato, potrebbe portare a considerare nuovi bersagli terapeutici”. Insomma, gli stessi autori spiegano in maniera chiara che non dobbiamo recarci a comprare integratori, ma che il risultato intende accendere l’attenzione sui meccanismi dell’infiammazione nel Covid-19 e su futuri studi sulla vitamina D.
Via Wired.it
Leggi anche su Galileo:
Coronavirus: la vitamina D può aiutare contro la perdita del gusto e dell’olfatto?
Credits immagine di copertina: Michele Blackwell on Unsplash