Forse viviamo in una grande illusione. Forse le certezze su quello che ci circonda non sono solide come sembra. Non è l’incipit apocalittico di un nuovo Matrix, ma quello che intendono svelare i fisici del Fermi National Laboratory, che hanno messo a punto un esperimento – The Holometer, si chiama – per conoscere la vera natura dello spazio che ci circonda. Ovvero, più in particolare, per capire se quello che percepiamo come spazio tridimensionale non sia altro che un ologramma a due dimensioni: “Come i personaggi di uno show televisivo”, spiegano dal Fermilab, “non potrebbero capire se il mondo tridimensionale in cui si muovono esiste solo in uno schermo bidimensionale, anche noi potremmo essere all’oscuro del fatto che il nostro spazio tridimensionale sia solo un’illusione. Le informazioni su quel che c’è nel nostro universo potrebbero essere, in realtà, contenute in piccoli ‘pacchetti’ bidimensionali”, simili ai pixel di uno schermo televisivo. I “pixel dello spazio” sarebbero circa 10 bilioni di volte più piccoli di un atomo, una scala spaziale che i fisici chiamano scala di Planck.
La teoria quantistica stabilisce che è impossibile conoscere contemporaneamente e con precisione arbitraria sia la posizione che la velocità delle particelle subatomiche. Se davvero lo spazio fosse costituito di bit bidimensionali, proseguono gli scienziati, anch’esso allora cadrebbe nel regime di incertezza quantistica: in questo senso, l’esperimento è volto a sondare i limiti della capacità dell’universo di memorizzare informazioni. Per vederci chiaro, gli scienziati hanno costruito un interferometro olografico, lo strumento più sensibile mai progettato per misurare lo spostamento quantistico dello spazio. Consiste essenzialmente di due fasci laser ad alta intensità che vengono divisi usando un beam splitter (una sorta di specchio parzialmente riflettente in grado di dividere un fascio di luce) e inviati perpendicolarmente lungo due bracci di 40 metri. Alla fine del percorso, i fasci vengono riflessi indietro verso lo splitter, dove si ricombinano. L’idea degli scienziati è che, quando i fasci colpiscono lo splitter la seconda volta, questo potrebbe essersi mosso, causando così delle fluttuazioni nella luminosità dei fasci. Se questo fosse vero, vorrebbe dire che lo spazio sarebbe in continua vibrazione, come una specie di onda – un’onda bidimensionale, per essere precisi – e che lo splitter si muove a causa delle continue variazioni dell’onda (in ampiezza o fase per esempio).
“Se individuiamo delle vibrazioni che non provengono da sorgenti già note, potremmo rivelare qualcosa di fondamentale sulla natura – un rumore intrinseco dello spazio-tempo”, spiega Aaron Chou, fisico al Fermilab e responsabile dell’esperimento. “È un momento emozionante per la fisica. Un risultato positivo potrebbe aprire una nuova strada che mette completamente in discussione la natura dello spazio”. Purché poi ce lo spièghino.
Via: Wired.it
Credits immagine: Fermilab