Il momento della verità arriverà il prossimo 18 dicembre, quando il telescopio spaziale James Webb partirà dal Guiana Space Center per raggiungere la sua orbita finale, a circa un milione e mezzo di chilometri dalla Terra (nei pressi del cosiddetto punto L2, ovvero il punto di Lagrange posto oltre il nostro pianeta sul piano Sole-Terra). Se tutto andrà come sperato, il successore di Hubble, cioè il più potente telescopio spaziale mai realizzato, dovrebbe aprire una nuova fase per l’astronomia, indagando i primi momenti successivi al Big Bang, l’origine delle galassie, la natura della materia oscura, e altri misteri ancora aperti del nostro universo.
Se qualcosa andasse storto, invece, si rischia una vera e propria ecatombe scientifica: con un investimento che ha raggiunto ormai i 10 miliardi di dollari, un fallimento azzopperebbe per decenni i progressi nello studio dell’universo. Con una simile posta in gioco, sarebbe auspicabile la massima concentrazione sulla missione. E invece da mesi il telescopio è al centro di aspre polemiche per la scelta di dedicare la missione a James Webb, un ex direttore della Nasa oggi accusato di aver partecipato alle discriminazioni messe in atto nei confronti di scienziati lgbt+ dal governo americano.
Chi era James Edwin Webb
Il nome del nuovo telescopio della Nasa (realizzato in collaborazione con Agenzia spaziale europea, Esa, e il corrispettivo canadese) è stato scelto nel 2002, nelle fasi iniziali del progetto. Cogliendo un po’ tutti di sorpresa. Normalmente i telescopi della Nasa sono dedicati scienziati come James Hubble, astronomo americano che ha contribuito a fondare l’astronomia extragalattica e la cosmologia osservazionale (lo studio dell’origine dell’Universo svolto attraverso l’utilizzo di telescopi e altri strumenti di rilevazione).
James E. Webb invece non è mai stato un uomo di scienza. Il suo contributo è stato infatti di tipo puramente organizzativo: dopo una vita come funzionario nel governo americano, venne infatti chiamato nel 1961 da Kennedy a dirigere la Nasa in uno dei suoi momenti più critici, e partecipò in questo ruolo alla missione Apollo, che nel 1969 portò il primo uomo sulla Luna. Per la prima volta, quindi, una missione scientifica della Nasa non rende omaggio a uno scienziato, ma a un direttore dell’agenzia. Un particolare anomalo, che inizialmente non ha però suscitato particolari critiche, perché voleva celebrare gli sforzi fatti da Webb per mantenere la ricerca scientifica al centro dell’attività della Nasa, in un periodo in cui l’esplorazione spaziale drenava la maggior parte del budget dell’agenzia. Le cose sono cambiate però in tempi più recenti, quando dall’armadio di Webb hanno iniziato a uscire un certo numero di scheletri particolarmente imbarazzanti.
Le epurazioni contro la comunita lgbt
Nei tardi anni Quaranta, proprio quando Webb iniziava a muovere i primi passi all’interno dell’amministrazione americana, negli Stati Uniti andava infatti in scena quella che oggi è conosciuta come lavender scare (o “paura lavanda”, sulla falsariga della “paura rossa” che caratterizzò negli stessi anni la stagione politica del maccartismo), un’ondata di panico per la tenuta “morale” delle istituzioni, che portò all’emanazione di normative federali che puntavano all’epurazione del personale omosessuale dagli apparati governativi.
Webb, che tra il 1949 e il 1952 ricoprì il ruolo di sottosegretario del dipartimento di stato americano, si trovò quindi nella cabina di regia in cui venivano pensate, e scritte, le regole che fecero perdere il lavoro a migliaia di omosessuali (anche alla Nasa, come nel caso del contabile Clifford Norton, licenziato per “condotte immorali” nel 1963). E pur non essendo passato alla storia come uno degli ideologi del lavender scare, sicuramente non vi si oppose, e anzi partecipò alla sua traduzione in politica federale. Il primo a sollevare la questione è stato lo storico David Johnson, in un libro del 2004 dedicato alla lavender scare. E più di recente, il tema è tornato a far discutere a maggio di quest’anno, quando un gruppo di astronomi ha lanciato una petizione online per chiedere ufficialmente alla Nasa di cambiare il nome del telescopio, raccogliendo in poco tempo migliaia di adesioni da parte di prominenti scienziati del campo.
La decisione della Nasa
Sulla spinta della petizione, la Nasa a luglio ha annunciato di aver lanciato un’indagine interna per valutare le accuse a carico di Webb (che è deceduto nel 1992) e decidere quindi se rivalutare o meno la designazione ufficiale della nuova missione. Il responso è arrivato nelle scorse settimane e ha deluso le aspettative di chi sperava in un passo indietro da parte dell’agenzia. Secondo la Nasa non ci sono prove che James Webb abbia mai partecipato attivamente in attività persecutorie nei confronti della comunità lgbt+, e quindi il nome della missione non verrà modificato.
Le polemiche, ovviamente, non si sono sopite. Tutt’altro: la decisione di diffondere i risultati della sua inchiesta interna unicamente a mezzo stampa, e senza divulgare un rapporto con le evidenze emerse durante l’indagine, ha portato nuove critiche all’agenzia. Come quelle dell’astrofica Lucianne Walkowicz, scienziata non binary che negli scorsi giorni ha deciso di rassegnare le sue dimissioni dal Nasa Astrophysics Advisory Committee, proprio per protestare contro la decisione di non rivedere il nome della missione.
Da parte sua, la Nasa ha promesso che l’indagine su Webb proseguirà nei prossimi mesi e che prenderà in considerazione anche documenti attualmente non consultabili a causa della pandemia. In attesa di nuovi sviluppi, molti astronomi hanno comunque deciso di non utilizzare il nome scelto dalla Nasa. C’è chi chiama informalmente il nuovo telescopio Harriet Tubman Space Telescope (Htst), come proposto dai firmatari della petizione, in onore di una celebre attivista afroamericana di inizio Novecento. E chi preferisce ripensare l’acronimo Jwsp (James Webb Space Telescope), proponendo ad esempio di intenderlo come “Just Wonderful Space Telescope” (o “telescopio spaziale veramente meraviglioso”).
La missione scientifica
Archiviate le polemiche riguardo al nome, è il caso di ricordare qual è la missione del nuovo telescopio, e per quale motivo il suo lancio è tanto atteso dalla comunità scientifica. Per iniziare, si tratta del più grande telescopio spaziale mai progettato, con uno specchio primario che raggiunge i 6,5 metri di diametro, contro i 2,4 di Hubble, e i 3,5 dello Herschel Space Observatory dell’Esa (in pensione dal 2013). Gli strumenti a disposizione, e la grandezza dello specchio, permetteranno quindi di osservare oggetti lontanissimi, irraggiungibili dai suoi predecessori. In questo modo si potrà studiare, per esempio, la struttura a grande scala dell’Universo, cioè come sono distribuite le singole galassie, e gli ammassi e super ammassi che queste compongono, per approfondire le nostre conoscenze cosmologiche, e andare alla ricerca di materia ed energia oscura.
Si potranno osservare le antichissime galassie nate nei primi momenti seguiti al Big Bang, e studiare così l’origine del nostro Universo. Oppure, puntando gli strumenti su oggetti molto più vicini a noi, scandagliare l’atmosfera degli esopianeti, alla ricerca di indizi che dimostrino la presenza di forme di vita e processi biologici sulla loro superficie. La speranza è quindi che nei suoi 10 anni di attività il nuovo telescopio spaziale rivoluzioni la nostra conoscenza dell’Universo. E con una simile ambizione, prima di iniziare a macinare nuove scoperte sarebbe probabilmente sarebbe il caso di trovare un nome che metta tutti d’accordo.
via Wired.it