L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha pochi giorni fa dichiarato che il virus Zika non rappresenta più un’emergenza di salute pubblica, ma quella che in apparenza potrebbe sembrare una buona notizia in realtà nasconde ben altro. Lo stato di emergenza, infatti, era stato invocato quando ancora si conosceva molto poco del virus ed era necessaria una risposta immediata in termini di fondi e impegno dei ricercatori. Soprattuto per le possibili complicazioni più che per le infezioni. Ma la storia di Zika non è finita.
“Oggi ci troviamo in una situazione del tutto differente”, ha raccontato Peter Salama, a capo dei programmi di emergenza sanitaria dell’Oms. Ora che è stato accertato che il virus Zika causa danni cerebrali nei feti e nei neonati, e che si sta diffondendo, anche al di fuori del Sud America, è necessario utilizzare un approccio a lungo termine. “È fondamentale comprendere che il virus Zika continuerà a diffondersi, ed è per questo che dobbiamo continuare a rispondere in modo adeguato al contesto” prosegue Salama.
Allo stato attuale alcune delle questioni più scottanti riguardano vari aspetti del virus: per esempio non è affatto chiara l’epidemiologia, non sappiamo quante sono effettivamente i casi di microcefalia correlati, e ancora non è chiaro, ricorda anche il New Scientist, se diversi ceppi di virus possano avere diversi effetti o se ci possano essere dei fattori in grado di rendere l’infezione più o meno pericolosa per le mamma e i loro bambini.
Né è noto se Zika possa essere trasmesso insieme ad altri virus e cosa questo possa significare.
A complicare il quadro, arriva ora la notizia che la microcefalia, tra le complicazioni più temute del virus, potrebbe comparire anche dopo mesi dalla nascita da madri infettate dal virus. Lo studio in questione, raccontato sulle pagine di Morbidity and Mortality Weekly Report, è quello relativo a 13 bambini nati in Brasile tra ottobre 2015 e gennaio 2016. Alla nascita nessuno di loro, con infezione congenita, ha ricevuto una diagnosi di microcefalia, ma a distanza di alcuni mesi la condizione è stata diagnosticata per 11 di loro. Qualcosa di simile era già stato osservato in analisi precedenti.
Ma le dimensioni della testa non sono l’unico sintomo rivelato a mesi di distanza e potenzialmente riconducibile a Zika. Questi bambini infatti a ridosso della nascita, e in alcuni casi già in utero, presentavano già delle anomalie neurologiche, e che col passare dei mesi, accanto alla mancata crescita cranica proporzionale per la loro età, sono cominciati a comparire anche diversi disturbi: riduzione del volume cerebrale, sproporzioni e danni nel tessuto cerebrale, problemi muscolari, disfagia, epilessia. Un complesso quadro di disturbi cui gli specialisti si riferiscono come congenital Zika syndrome, sindrome da infezione congenita di Zika. “È chiaro che i bambini possono essere gravemente influenzati dall’infezione anche se non hanno microcefalia all nascita”, ha commentato al Washington Post Tom Frieden. In altre parole la microcefalia non è un marcatore essenziale della sindrome da infezione congenita di Zika. “Per me”, ha continuato Frieden, “la questione chiave principale è che non possiamo dire ‘come sono colpiti i bambini che non hanno la microcefalia’”?
Quanto osservato dai ricercatori sottolinea almeno due aspetti importanti: l’importanza di un follow up adeguato e l’attenzione anche a quei bambini che alla nascita non presentano problemi nati da madri esposte al virus. Perché potrebbero sviluppare microcefalia e i problemi collegati, anche più in là nel tempo. Come non è chiaro, scrivono gli stessi ricercatori: “La patogenesi della microcefalia postnatale da infezioni congenite di Zika è sconosciuta. La diminuzione della crescita della testa potrebbe essere la conseguenza di una distruzione precoce in utero dei neuroprogenitori o delle cellule neurali, della presenza persistente di molecole infiammatorie, o della continua infezione delle cellule neurali”. L’emergenza è finita, ma lo studio su Zika e sulle sue possibili complicazioni affatto.
Via: Wired.it