Yul Brynner, il calvo tenebroso di Hollywood, era uno zingaro. Così come era una zingara la madre di Rita Hayworth. Sangue zingaro scorreva probabilmente nelle vene del dittatore romeno Ceaucescu, e c’è chi dice che fosse zingaro lo stesso leader socialista spagnolo Felipe Gonzales. Ci sono zingari in ogni ceto sociale.Questo popolo conta in Europa tra i 10 e i 12 milioni di individui; nel mondo oltre 20 milioni; forse 40. Sui dati c’è incertezza. Incertezza che deriva sia da dubbi sulla correttezza e legittimità di includere una parte della popolazione del Punjab indiano, sia dall’essere, gli zingari, tra i popoli meno oggetto di studio e di attenzione accademica. Le tesi di laurea assegnate in materia nelle facoltà universitarie di Sociologia o Antropologia, Diritto o Storia, possono contarsi sulle dita di pochissime mani. Eppure il popolo zingaro è più numeroso di quello ungherese o ceco, olandese o portoghese.
Zingari, Gitani, Boemi, Egizi…
Zingari, Gitani, Boemi, Egizi. Denominazioni in quantità hanno designato un popolo atipico, da sempre diverso: il popolo degli zingari, che nella loro lingua, il romanes, si chiamano Rom. Le prime testimonianze della loro presenza in Europa risalgono al XVI e al XVII secolo. Tra loro sono presenti una infinità di culti: ci sono zingari cattolici, protestanti, musulmani, ortodossi e di altre religioni. Per necessità o per apertura, questo popolo ha spesso abbracciato i culti delle comunità all’interno delle quali si trovava ad essere minoranza, mantenendo comunque riti religiosi palesemente simili, anche se praticati da musulmani o da cattolici. Lo stesso vale per il linguaggio: questo popolo ha sempre assorbito molte delle lingue prevalenti nelle zone in cui transitava o si insediava. Sono stati contati almeno 600 dialetti romanes strutturati, anche se tutti questi idiomi conservano una radice comune per il fatto di essere dialetti romanes.
2012: Tracciato l’albero genealogico dei Rom
Razza inferiore, e magari pericolosa, quella degli zingari. Perseguitata dal Nazismo al costo di oltre mezzo milione di vittime, in un olocausto rimosso forse come nessun altro massacro della storia recente. Ladri, sporchi, pigri, inaffidabili, pericolosi. Peggio: tanto diversi da destare curiosità culturali e trasporti tanto solidali quanto caduchi. Individualisti e refrattari alle leggi delle etnie maggioritarie, o, per i più benigni, gente da comprendere, per l’impossibilità culturale di piegarsi a modelli organizzativi sociali incomprensibili. Una razzaccia. E per di più ignota, ignorata, indecifrabile.Un popolo caduto nella delinquenza dacché i cavalli hanno smesso di essere la principale forza motrice, lasciando disoccupati i mitici maniscalchi Rom; e dacché i bianchi hanno cominciato a sostituire le pentole di rame con quelle d’allumino, piuttosto che affidare quelle rotte al ramaio zingaro.
La loro diversità è reale
Se nel mondo varie etnie sono scomparse, lasciando soltanto in qualche caso testimonianze, magari confinate in qualche museo specializzato, i Rom non stanno scomparendo affatto. Anzi, alla ridottissima prolificità dei bianchi, quella zingara è decisamente in controtendenza. La minaccia proviene da altrove. La minaccia mortale per gli Zingari e per la loro cultura proviene oggi, probabilmente, dalle malintese volontà assistenziali e caritative degli angeli della conservazione delle culture in via di estinzione. Le culture e le tradizioni zingare sono state capaci di superare le minacce più tremende: tremende per la loro continuità, perché coniugate a un diffusissimo rifiuto che nei secoli è quasi diventato fisiologico, soprattutto nella società europea. Addebitare questo alla maledizione che si vuole sia piombata sugli zingari per essere stati, alcuni di loro, i fabbri che forgiarono i chiodi che trafissero le mani e i piedi di Cristo, è argomento che non vale probabilmente già da qualche secolo.
La diversità degli zingari è reale, perché è in qualche modo congenita. Il popolo Rom è ovunque nel mondo, e gli stessi Rom non sanno da dove vengono. Sembra ormai certo che si mossero dal Punjab verso occidente per ragioni sulle quali esistono soltanto ipotesi. Ma questa è nozione – nemmeno del tutto certa [oggi è confermata dal dna, ndr] – e soprattutto elaborata da altri, non dai Rom. Non appartiene alla consapevolezza degli zingari, che l’hanno appresa da altri.
Il mistero delle origini e della persistenza
La tradizione e la cultura zingara sono rigorosamente orali, e si trasmettono attraverso le generazioni, spesso con sorprendente fedeltà. Ma non appartiene alla consapevolezza dei Rom la certezza delle origini; e questa incertezza, per alcuni, è già diversità, per altri mistero. Come è in gran parte misteriosa, per ottiche diverse da quelle zingare, come possa essersi mantenuta in vita una identità marcata e inequivocabilmente nazionale di popolo, pur in presenza di due fattori fondamentali che avrebbero dovuto produrre tutt’altro che una conservata e consapevole identità nazionale: una tendenza spiccatissima alla aggregazione in piccoli gruppi, spesso familiari, e una disseminazione estesissima, che ha provocato una proliferazione di dialetti, molti dei quali quasi del tutto inadeguati a consentire la comunicazione. Uno zingaro che vive in Andalusia non comprende e non sa farsi comprendere da uno zingaro slavo. E anche i tentativi, che alcuni leader Rom stanno conducendo da anni, di ricostruire o costruire una koiné romanes rimangono per ora affare di minoranze acculturate.
Nomadismo e inurbazione
Per evitare cadute in luoghi comuni va però detta una cosa cruciale. Tra i milioni di Rom, coloro che mantengono quello che è il connotato più palese del costume zingaro – il nomadismo – sono ormai una minoranza. Quanto è avvenuto negli ultimi decenni nei paesi retti fino alla fine del decennio scorso dai regimi comunisti – che hanno forzosamente inurbato e sedentarizzato i Rom – non è un fatto isolato, e questo ha fatto sì che la pratica del nomadismo sia di fatto scomparsa per una fetta maggioritaria degli Zingari anche nel resto del mondo.
Anche in aree geografiche in cui la cultura Rom ha donato ai popoli ospitanti niente di meno che l’espressione culturale più caratteristica (basti pensare al flamenco, che è assolutamente e totalmente zingaro), danza e musica non sono le uniche occupazioni delle popolazioni Rom. E’ certamente vero – almeno secondo il parere di chi scrive – che non vi sia socialità più divertente e profonda, comunicazione più piena e leggera e viva di quelle che si possono incontrare in una festa zingara; ma i Rom non sono soltanto violini, o circhi – anche se le grandi famiglie circensi sono in buona parte zingare.
Un popolo così non ha confini, né potrebbe averne sviluppato il senso. Non è questione di nomadismo, però. Molti Rom guardano ormai con diffidenza alla sensibilità – puntualmente ed esclusivamente “gagé” (la parola Rom che indica i ” non zingari”) – nei confronti della scomparsa, progressiva e inesorabile, dello zingaro nomade. A ben guardare, se si vede la cosa da un punto di vista non etnico, molte professioni spingono persone di svariate etnie e nazionalità a esistenze assai più nomadi di quella dello zingaro nomade medio. E la conservazione forzosa del nomadismo, magari aiutata da protettivi e magnanimi gagé è, non contribuisce che alla staticità di quello che è invece un problema serio, che riguarda persone, più che esseri da studiare o da vezzeggiare per lenire fondati sensi di colpa.
Nel corso dei secoli non sono mancate le popolazioni Rom che hanno conquistato e ottenuto, grazie alla eccellenza di alcuni individui della tribù in alcune arti, di godere di privilegi da parte di qualche governante o signore locale, presso il quale si sono fermati per anni o per sempre. Ma oggi in causa è ben altro che la conquista di tolleranza o di benefici caduchi.
Oltre i confini degli altri
La nazione Rom è il popolo dei confini, oltre i confini degli altri. Non è vero che i Rom siano refrattari ai confini; molto più semplicemente non vivono, se non per subirli, i confini degli altri. Ma la società zingara è piena di barriere interne, tra famiglie e tribù, come ogni altro consesso umano. Forse un po’ di più, se è vero che l’associazionismo zingaro conta un numero di presidenti di associazione o gruppo organizzato decisamente sproporzionato.
In anni molto recenti, in uno dei paesi usciti dal comunismo e con una presenza ragguardevole di individui Rom (che trovarono nel breve periodo di entusiasmo democratico succeduto alla caduta del Muro una certa agibilità sociale) alcuni esponenti politici Rom di prestigio e di notevole e vasta cultura proposero un emendamento alla legge sulla violenza sessuale che stava discutendosi in Parlamento. Il disegno di legge introduceva nella legislazione del paese il concetto di violenza presunta per i ragazzi inferiori ai 14 anni – principio da tempo considerato baluardo di civiltà e di progresso. Per le ragazze zingare non andava posto quel limite a 14 anni ma a 12, stante la asserita precocità sessuale delle giovani Rom. E’ soltanto un esempio. Ma vale una riflessione. Consentire il rispetto e la pratica della cultura propria di un popolo, di un’etnia (si parli di precocità sessuale o delle pratiche di infibulazione, il discorso non cambia) ha un limite? E chi pone quel limite? L’etnia dominante, la cultura dominante e vincente?
I diritti umani, la loro affermazione e difesa impongono di attenersi a canoni e principi assoluti, si dirà, e tra questi vi sono il divieto nettissimo di mettere le mani su una bambina. Eppure nel novero dei diritti umani primissimo ruolo rivestono quelli alla autodeterminazione dei popoli, che, vivaddio, includono eccome quello a determinare da sé le regole di convivenza interne al popolo. E allora? Probabilmente il problema del mondo di oggi è in primo luogo in un difetto di rappresentanza delle persone, degli individui, piuttosto che di quello o quell’altro popolo, o nazione. La logica per cui tradizioni e costumi vanno conservati ad ogni costo, è logica propria e tipica dei popoli dominanti (come, all’interno degli stati, è logica tipica dei ceti dominanti). I tuoi modi di essere e la tua etica è così interessante, esotica, affascinante… finché non supera certi limiti, anche questi imposti e posti dai dominanti.
Non può più essere il popolo, la nazione, l’etnia il portatore e il soggetto dei diritti alla cultura e all’identità. L’identità e il diritto al rispetto di quella è connotato dell’individuo, portatore di lingua e caratteri etnici, di cultura e tradizioni. Occorre spezzare la logica delle appartenenze etniche come connesse alle regole, che appartengono al consesso umano a prescindere dalla etnia e dalla cultura, ma di queste sono sintesi, perché sintesi delle volontà degli individui secondo criteri da tutti accolti e voluti.
Il mondo globalizzato dei Rom
Dagli Zingari viene una chance per gli altri abitanti del pianeta. Un popolo, una nazione, senza terra, e che terra non rivendica. Non ha nulla a che fare con i confini stabiliti da altri, ma tiene con cura e forza alla propria diversità e unicità. Il mondo globalizzato è il mondo degli zingari, potrà dirsi con felice ancorché facile banalità. In verità la stessa vicenda anche attuale dei Rom impone e pone in discussione un concetto che l’intera umanità si trova oggi a dovere superare, quello della identità tra stato e nazione. Concetto sul cui altare milioni di vite sono state sacrificate. In fondo, il razzismo è più evidente e odioso quando si esprime attraverso la volontà di far coincidere uno stato con una popolazione etnicamente omogenea. E gli zingari rompono proprio questo: la certezza più sedimentata e dannosa della cultura tuttora prevalente e dominante. Ai Rom non serve altro che la consapevolezza di rappresentare l’alternativa oggi necessaria alla forma dello stato attuale. E poi consentiranno a tutti un passo in avanti forse senza precedenti.