I poteri curativi del sale li conosciamo un po’ tutti. Peccato per il piccolo effetto collaterale: brucia da morire. Esiste però un’alternativa meno dolorosa e altrettanto efficace, naturale e a basso costo per disinfettare le ferite. E a ben vedere, del sale sembra quasi l’opposto, perché anche lo zucchero disinfetta le ferite. Spesso demonizzato in ambito alimentare, negli ultimi tempi lo zucchero sta facendo parlare proprio per il suo potenziale nella cura di ulcere, piaghe e lesioni. Un ruolo prezioso pensando ai paesi in via di sviluppo, dove i farmaci e i rimedi più moderni sono spesso fuori portata per la popolazione comune. Ma anche nell’ottica dei sistemi sanitari più sviluppati, in cui oggi l’antibiotico resistenza sta trasformando nuovamente ferite e infezioni in un problema di primo piano. Questa almeno è l’opinione di Moses Murandu, docente di adult nursing dell’università di Wolverhampton che per le sue ricerche sull’efficacia terapeutica dello zucchero è stato premiato di recente nell’ambito dei Journal of Wound Care Awards 2018.
Un rimedio antico ma dimenticato in Occidente
Le nostre nonne lo sapevano che lo zucchero disinfetta le ferite. Si tratta infatti di uno dei più antichi, e diffusi, rimedi della medicina tradizionale di moltissime culture. Utilizzato anche da noi sin dai tempi antichi, insieme al sale – ovviamente – e al miele, per realizzare impacchi antisettici e disinfettare ferite infette, piaghe e lesioni di ogni tipo. Anche in Zimbabwe – racconta Murandu alla Bbc – paese di origine del ricercatore, è uno dei rimedi popolari più usati, a cui le famiglie ricorrono (quando possibile) in alternativa al più economico sale. È per questo che una volta giunto in occidente Murandu, stupito dalla mancanza dello zucchero all’interno dei grandi ospedali inglesi, e deciso a dimostrare l’efficacia delle tradizioni mediche del suo paese, ha iniziato a dedicare le sue forze allo studio degli effetti antisettici dello zucchero.
Lo studio conferma: lo zucchero disinfetta le ferite, con una eccezione
Dopo anni di ricerche, nel 2011 ha pubblicato finalmente i risultati di uno studio pilota realizzato su 22 pazienti (attualmente i pazienti sono arrivati a 44, ma i dati più recenti non sono ancora stati pubblicati), da cui emerge l’efficacia dell’applicazione di zucchero per il trattamento di ferite essudanti e in presenza di tessuti necrotici. In una serie di test in vitro Murandu ha valutato anche l’efficacia di diverse tipologie di zucchero commerciale, scoprendo che ad alte concentrazioni tutte le varietà disponibili dimostrano una potente azione antimicrobica sui batteri. Unica eccezione: lo zucchero demerara. E a parere del suo autore, lo studio dimostra come anche nell’ambiente ad alta tecnologia dei moderni ospedali occidentali, lo zucchero potrebbe ritagliarsi un posticino tutto suo nella gestione di ulcere e ferite croniche. Tutto sta – spiega – nel trovare il giusto protocollo terapeutico per l’applicazione su differenti tipi di ferite e di pazienti.
Come e quando funziona
In effetti, anche con un rimedio naturale e apparentemente innocuo come lo zucchero un utilizzo scorretto può creare fastidi, se non potenziali rischi per la salute. Tutto dipende infatti dal tipo di ferita su cui si applica, e dalla concentrazione dello zucchero. “L’efficacia dello zucchero è reale e ben conosciuta – racconta a Wired Fiorella Carnevali, medico veterinario dell’Enea e grande esperta di wound healing – come nel caso del sale tutto dipende dall’elevata osmolarità di questa sostanza, cioè la grande concentrazione di molecole presente in un granello di zucchero, che fa sì che questo non penetri all’interno dei sistemi con cui entra in contatto e ne attiri invece l’acqua per osmosi”. Un processo che uccide i batteri disidratandoli e sterilizza quindi le ferite. Per questa sua caratteristica lo zucchero è realmente efficace finché mantiene un’elevata concentrazione, ed è indicato per la prima fase di gestione di ferite croniche, in presenza di necrosi, infiammazione e infezioni.
“Il suo meccanismo d’azione è anche la fonte di alcuni dei problemi dello zucchero nella gestione delle ferite”, sottolinea però Carnevali, “perché le medicazioni devono essere sostituite molto spesso, anche ogni tre o quattro ore, per evitare che lo zucchero si diluisca con l’essudazione della ferita, e perda così la sua efficacia, rischiando anzi di divenire una fonte di cibo per i batteri. Per lo stesso motivo, è sconsigliabile l’applicazione su ferite essudanti, che richiederebbero sostituzioni anche più frequenti per mantenere l’efficacia dello zucchero”.
Se lo zucchero disinfetta le ferite, dove utilizzarlo?
Stabilito che si tratta di una possibilità terapeutica piuttosto concreta, dove potrebbe trovare spazio lo zucchero? Una delle prime che applicazioni che vengono in mente – sottolineata anche da Murandu – è quella come disinfettante a basso costo da utilizzare nei paesi in via di sviluppo, dove farmaci e medicazioni di ultima generazione sono spesso troppo costosi. Benché efficace però, in questi contesti lo zucchero potrebbe presentare non pochi difetti. Il principale, sottolinea Carnevali, è che lo zucchero è completamente inefficace, se non addirittura controproducente, nei confronti delle larve di mosca, che nei paesi con climi tropicali sono un problema fin troppo comune in caso di ferite. Inoltre può promuovere lo sviluppo di lieviti e funghi, che in un ambiente non completamente asettico possono rappresentare un pericolo concreto.
Dove ce ne sarebbe più bisogno, insomma, lo zucchero mostra qualche difetto. Ed è invece nei paesi industrializzati che potrebbe dare i massimi benefici. Se infatti abbiamo a disposizione antibiotici e bendaggi a volontà, è proprio in un campo che può sembrare semplice come la gestione delle ferite che oggi l’occidente inizia ad avere i problemi più drammatici. “Da noi oggi il problema è quello dell’antibiotico resistenza, un’emergenza particolarmente grave proprio nel campo delle ferite”, spiega l’esperta, “perché i pazienti con ferite e ulcere croniche sono quasi sempre reduci da diversi cicli di antibiotici, e ormai si vedono spessissimo infezioni da batteri multiresistenti come stafilococchi Mrsa, pseudomonas, e klebsiella, un genere di batteri quest’ultimo per cui in Italia per esempio è ormai allarme rosso”. In questo senso, l’utilizzo dello zucchero sarebbe un’arma in più utilissima per combattere i batteri resistenti ed evitare l’utilizzo eccessivo di antibiotici. Ma anche come alternativa ai bendaggi hi-tech, come quelli agli ioni di argento. Efficaci, ma non privi di difetti. Non ultimo, l’alto potenziale inquinante.
In un contesto sicuro come quello degli ospedali occidentali, la maggior parte dei problemi dello zucchero verrebbe invece scongiurata. Certo si tratta di un’alternativa che sulla carta non converrebbe a nessuno dei grandi rappresentanti del mercato farmaceutico internazionale. Ma nessuno, suggerisce Carnevali, vieta alle case farmaceutiche di lavorare per esempio per ottimizzare i limiti esistenti nell’utilizzo ospedaliero dello zucchero, come la frequenza delle applicazioni, il pericolo di diluizione, l’efficacia limitata alle prime fasi del processo di guarigione. E proporre così un’alternativa concreta pronta per entrare nell’utilizzo clinico. E in effetti, è proprio quello che sta provando a fare Murandu. Il suo obbiettivo, ha ammesso parlando con la Bbc, è quello di aprire una clinica a Wolverhampton, specializzata proprio nell’utilizzo clinico dello zucchero. Con la speranza di sviluppare protocolli che un giorno possano trovare spazio anche nelle strutture pubbliche inglesi e anche di altre nazioni.
Alternative naturali: miele, olio di Neem, iperico e pelle di merluzzo
Lo zucchero disinfetta le ferite, e anche il sale ha simili proprietà benefiche, ma esistono altri rimedi naturali con un’efficacia simile? In effetti, ce ne sono diversi. Uno su tutti, il miele, utilizzato da millenni (al pari dello zucchero) dalla medicina tradizionale occidentale e non solo. Un prodotto che anche oggi viene impiegato diffusamente per curare ferite e accelerarne la cicatrizzazione, in particolare nella varietà Manuka, prodotta in Australia e Nuova Zelanda, che al suo interno contiene particolari sostanze provenienti dalle piante coinvolte nella sua produzione, che donano al miele non solo proprietà disinfettanti legati all’osmosi, ma anche vere e proprie caratteristiche antibiotiche. Anche in questo caso, però, c’è un lato oscuro. “Qui il problema sono le spore di batteri come il tetano, che possono essere contenute all’interno del miele ed risultano impossibili da rimuovere”, chiarisce Carnevali. “Per un paziente sano difficilmente rappresentano un problema, ma in caso di persone immunodepresse, anche semplicemente dall’utilizzo di cortisone o farmaci simili, diventano un rischio concreto, che rende necessaria una certa cura nell’utilizzo di questi prodotti”.
Un altro esempio virtuoso arriva proprio dai laboratori di Carnevali. Un unguento basato sull’iperico (o erba di San Giovanni) e sull’olio di Neem, brevettato dall’Enea e approvato sia per l’utilizzo veterinario che per quello umano. Che a differenza delle alternative precedenti, rappresenta un composto all in one, utilizzabile cioè da utilizzare dal primo all’ultimo giorno di trattamento di ferite, ulcere e piaghe da decubito. O ancora, è il caso delle pelli di pesci come il merluzzo o il tilapia, che in diverse parti del mondo sono studiate come possibile alternativa ai bendaggi tradizionali in caso di ustioni molto estese, potenzialmente in grado di mantenere sterile al lesione, e al contempo promuovere e accelerare la guarigione.
Via: Wired.it